Paolo Isotta, Corriere della Sera 6/12/2008, 6 dicembre 2008
Siamo sicuri che «più libri più liberi», come ogni anno ci ricorda la bella Fiera della piccola editoria? Prendiamo una biblioteca celebre
Siamo sicuri che «più libri più liberi», come ogni anno ci ricorda la bella Fiera della piccola editoria? Prendiamo una biblioteca celebre. Hitler, lettore onnivoro, aveva una biblioteca con 16 mila volumi! Ogni notte leggeva almeno un libro. Semi-istruito, autodidatta, aveva la smania di acculturarsi enciclopedicamente e curiosando in ogni direzione. I suoi capolavori preferiti: Don Chisciotte, I viaggi di Gulliver, Robinson Crusoe, La capanna dello zio Tom. I filosofi: Fichte, Schopenhauer, Nietzsche. Giudicava Shakespeare superiore a Goethe. Amava molto la Bibbia, i romanzi popolari di Karl May, e poi guide turistiche, trattati di armi, testi di alimentazione vegetariana, varia paccottiglia esoterica e libelli antisemiti (come si evince dal saggio di Timothy W. Ryback La biblioteca di Hitler, Mondadori). Continuava a fare errori di ortografia (!), ma come qualcuno disse di lui: «I libri erano il suo mondo». E allora: basta leggere, magari un libro al giorno, per diventare migliori ed essere «più liberi »? Ovviamente no. Né basta mettere in relazione i libri e la vita. Il punto è: come si legge. Hitler aveva una tecnica di lettura particolare: memorizzava una quantità prodigiosa di informazioni ed era abilissimo a trattenere di un libro soltanto gli argomenti per lui «utili», scartando il resto. Ma se vogliamo che un libro ci modifichi bisognerebbe fare l’opposto. Magari leggere poco, però non pretendere di «usare» subito tutto (per autoconfermarci), restare un po’ passivi, saper aspettare, rischiare che ciò che leggiamo non ci serva proprio a niente. Mentre la mezza cultura, oggi dominante, ci dà solo l’alibi di sentirci aggiornati ma senza che la lettura interagisca davvero con la nostra esperienza, senza «liberare» alcuna verità.