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 2008  dicembre 06 Sabato calendario

TRA poco più di venti giorni, quando giovedì primo gennaio la sera starà calando su Praga, da un capo all´altro della città sfolgoreranno di colpo e tutte insieme una miriade di luci

TRA poco più di venti giorni, quando giovedì primo gennaio la sera starà calando su Praga, da un capo all´altro della città sfolgoreranno di colpo e tutte insieme una miriade di luci. Con un budget di due milioni di euro e l´impiego di centinaia d´elettricisti, il comune celebrerà così l´avvento della Repubblica Ceca alla testa dell´Unione europea. Certo, le luminarie toglieranno a Praga una buona parte delle sue magnifiche ombre, dissiperanno le nebbie attorno ai lampioni del Ponte Carlo e della Nerudovna, forse faranno storcere la bocca agli appassionati del mito praghese. Ma il fascino dello spettacolo, in questa città già stupenda (spettacolo che si protrarrà ogni sera dell´intero semestre di presidenza), è assicurato. Attenzione, però. Dietro la festosità delle luminarie, il mondo politico e le istituzioni della Repubblica Ceca - primo Paese del Patto di Varsavia, l´ex blocco comunista, ad approdare alla presidenza dell´Unione - stanno vivendo la vigilia del semestre in uno stato di grande concitazione. A dirla tutta, la vivono come una mezza sciagura. Europeisti contro anti-europeisti, governo traballante con una ormai incerta, virtuale, maggioranza parlamentare, impossibilità di giungere alla ratifica del Trattato di Lisbona (che dovrebbe dare nuovo slancio e maggiori poteri all´Unione) prima dell´inizio della presidenza europea. E come se tutto questo già non bastasse, ecco il presidente della Repubblica, Vaclav Klaus, il portavoce, il campione mai domo dell´anti-europeismo ceco, lanciato all´attacco. Klaus non intende infatti innalzare l´azzurra bandiera dell´Unione accanto a quella ceca sulla sua residenza, il Castello. Si oppone alla ratifica del Trattato di Lisbona, minacciando di non apporvi la firma se e quando il Parlamento riuscirà ad approvarla. E dichiara: «Piuttosto che firmare il Trattato di Lisbona, preferisco emigrare in Patagonia». Non che nelle settimane scorse i partner e la Commissione dell´Ue non si fossero aspettati cattive notizie da Praga. La presenza nei partiti politici e in Parlamento d´un robusto nucleo contrario all´integrazione europea (e quindi al Trattato di Lisbona) era largamente noto, sicché a Bruxelles tutti sapevano che la presidenza ceca dell´Unione avrebbe comportato parecchi mal di pancia. Nonostante la sua linea ufficiale non sia del tutto anti-europeista, il governo ceco aveva criticato aspramente gli interventi statali decisi dai maggiori partner europei per sostenere nella tempesta della crisi i sistemi bancari e le economie. Quegli interventi, aveva infatti sentenziato il primo ministro Mirek Topolanek, sono in flagrante contraddizione con i principi del libero mercato su cui è fondata l´Unione. Mentre il fatto che le decisioni più rilevanti fossero state prese da Francia, Germania, Regno Unito e Italia, aveva spinto il presidente Klaus a commentare sarcastico: «Ancora loro. Gli stessi Paesi che a Monaco nel 1938 avevano consentito lo smembramento della Cecoslovacchia». Insomma, la peggiore atmosfera politica che si potesse immaginare in un Paese che sta per presiedere l´Unione. E sta per presiederla, questo è il punto, stando fuori della "zona euro" e sullo sfondo d´una crisi finanziaria ed economica di gravità epocale. Non è per caso, del resto, che il presidente francese Sarkozy aveva fatto un passo discreto, un sommesso tentativo, proponendo ai cechi di lasciare che la Francia protraesse il suo semestre di presidenza sinché la bufera finanziaria non si fosse placata. Ma la risposta praghese, sia pure in forma semi-scherzosa, era stata netta: «Se Sarkozy insisterà in questa richiesta», aveva detto l´aristocratico ministro degli Esteri Karel Schwarzenberg, erede d´una delle grandi famiglie d´Europa, «lo sfido a duello».  vero, il ruolo che la Costituzione conferisce al presidente della Repubblica Vaclav Klaus è sostanzialmente cerimoniale. Ma Klaus non è un anti-europeista di poche parole, di carattere riservato, attento a non violare gli obblighi che gli derivano dal suo ruolo. invece il più stupefacente narciso che si muova sulla scena internazionale, il più soddisfatto e tenace bastian contrario che si possa incontrare in una riunione tra capi di Stato e di governo. Un Berlusconi alla rovescia: nel senso che Berlusconi s´affanna a piacere, mentre Klaus fa invece di tutto per risultare sgradevole. E infatti Timoty Garton Ash lo ha definito «l´uomo politico più ispido che io abbia mai incontrato». Colte a volo in un caffè di Praga, venute da un tavolo di euroscettici, le battute di Klaus non farebbero molta impressione. Dall´Estonia all´Irlanda gli anti-europeisti sono legioni, e mugugni contro l´Unione se ne sentono da anni. Ma se è il presidente della Repubblica, a pochi giorni dall´inizio del semestre di presidenza ceco dell´Unione, a dire che «il gravame della burocrazia di Bruxelles sui cittadini europei non è diverso da quello che esercitava l´Unione Sovietica sui popoli che aveva assoggettato», allora è diverso. Se lo stesso presidente sostiene che «gli interventi dei governi d´Europa per puntellare le loro economie costituiscono una serie di misure protezionistiche irresponsabili», anche questo è diverso. E il tutto, inutile dirlo, fa calare sul semestre ceco un´ombra allarmante.  vero, al castello di Hradcany, nelle stesse stanze dove oggi si muove il bollente Klaus, hanno vissuto in passato altri personaggi stravaganti. E per primo Rodolfo II d´Asburgo, il grande committente e protettore degli alchimisti negli anni a cavallo tra Cinque e Seicento. Rodolfo ammassava le sue magnifiche collezioni d´arte, combatteva nelle guerre di religione, ma soprattutto aspettava dai suoi alchimisti (Bavor Rodovsky, Simon Tadeas Budek, Tycho Brahè) la scoperta della pietra filosofale, la possibilità di trasformare ogni materia in oro. Ed è anche per questo, per la passione esoterica di Rodolfo d´Asburgo, che nacque il mito della «Praga magica». Dunque al Castello hanno abitato caratteri originali, tra i quali bisognerà mettere anche il primo presidente del post-comunismo, Vaclav Havel, originale a suo modo visto che viveva la politica come impegno soprattutto morale. Ma un personaggio come Vaclav Klaus, sommo mestatore politico, europeo anti-europeista, instancabile dongiovanni (è di qualche settimana fa la scoperta d´una sua relazione con una giovane hostess), e testardo distributore di sgarbi a destra e a manca, questo a Hradcany non s´era mai visto. Possibilità che Klaus intenda smorzare, nei prossimi giorni e settimane, i suoi giudizi e il suo linguaggio per il buon esito della presidenza ceca dell´Unione? Nessuna. Proprio oggi, sabato 6 dicembre, egli farà un tentativo per rendere la situazione politica a Praga ancora più confusa e pericolante, ancora meno adatta ad una buona gestione del semestre di presidenza. S´apre oggi, infatti, un congresso straordinario dell´Ods, il partito di centro-destra che costituisce, con l´appoggio dei Verdi e dei Cristiano-democratici, il pilastro del governo Topolanek. Klaus è il presidente dell´Ods, e tenterà ancora una volta di far votare una mozione che proibisce ai membri del partito di approvare la ratifica del Trattato di Lisbona. La mozione era già stata presentata un paio di volte, e respinta, nell´ultimo anno. Ma stavolta Klaus potrebbe forzare la mano provocando una scissione. E per quanto sparuta possa risultare la pattuglia degli eventuali scissionisti, la cosa certa è che il governo si troverebbe molto probabilmente senza maggioranza parlamentare. In questo caso avremmo una presidenza dell´Unione europea da parte d´un governo senza i voti necessari a governare, o un governo di tecnici (scelti da Klaus) che cercherebbe accuratamente di scansare ogni significativa iniziativa politica lungo i sei mesi di presidenza dell´Unione. Domenica sera, alla chiusura del congresso dell´Ods, dovrebbe essere più chiaro se il governo riuscirà a restare in sella, o se la confusione politica che c´è al momento a Praga sia destinata ad aumentare sino alla soglia del marasma. Ma fatti i conti, resta che la conflittualità tra governo e opposizione, la tiepidezza dell´europeismo del primo ministro Topolanek, e soprattutto le continue e frastornanti sortite del presidente della Repubblica, non hanno permesso ai governanti cechi di preparare il lavoro del semestre di presidenza. Una settimana fa era approdata a Praga l´amabile, paciosa commissaria dell´Unione europea alle Relazioni esterne, Benita Ferrero-Waldner, e dopo due giorni di incontri e colloqui le era apparso evidente che il governo ceco non ha ancora approntato una credibile agenda dei temi e delle priorità da affrontare nel semestre. La signora Ferrero-Waldner era così ripartita con la sensazione che proprio adesso, mentre l´Europa attraversa la fase più turbolenta e pericolosa dell´ultimo mezzo secolo, la traversata avverrà per sei mesi in una barca, la barca ceca, senza pilota. Mettendoci un po´ di buona volontà, si può forse capire la freddezza dei cechi verso l´Unione. Da queste parti del Centro-Europa tutta la gestione economica è stata imposta per quarant´anni dal Comecon, il mercato comune del blocco sovietico. Il comunismo aveva devitalizzato le straordinarie energie economiche e culturali della Prima Repubblica, durata dal 1918 sino al protettorato nazista, trascinando alla fine tutti i Paesi satelliti nel disastroso collasso dell´Urss. L´Unione europea non è certo il Comecon, questo i cechi lo sanno, ma anch´essa sfiora e a volte può irritare una gelosa, esagerata considerazione della loro sovranità nazionale. E forse c´è anche altro. Tranne che nei felici vent´anni della Prima Repubblica di Masaryk e Benes, anche questo spezzone dell´ex Cecoslovacchia fu infatti visto per molti secoli - alla pari degli altri piccoli Paesi dell´Europa Centrorientale - come la casella d´uno scacchiere, la componente d´un grande insieme. Prima l´impero asburgico, e poi l´impero sovietico. Da qui l´estrema sensibilità di fronte a tutto quello che sembri un´ingerenza, comprese le regole fissate per tutti i partner dell´Unione. Ma come s´è detto, per mettersi nei panni dei cechi ci vuole buona volontà. Perché i rischi d´una presidenza ondeggiante, accettata obtorto collo, del consesso europeo, non sono pochi. Bisogna solo sperare che il pragmatismo ceco, l´abitudine alla stabilità politica (una sola elezione anticipata in diciott´anni), riescano a prevalere sulla grande confusione di queste settimane. Un compromesso, stando a quanto si sente dire a Praga, tra il centro-destra del premier Topolanek e l´opposizione socialdemocratica. Una tregua lungo il semestre di presidenza, così da offrire all´Europa l´immagine d´una classe politica responsabile, e poi, dopo il giugno 2009, le elezioni anticipate. Vaclav Klaus permettendo, sarebbe una buona soluzione.