Vari, 6 dicembre 2008
ARTICOLI SUL RAPPORTO CENSIS DEL 6/12/2008
PAOLO FOSCHI SUL CORRIERE DELLA SERA
PAOLO FOSCHI PER IL CORRIERE DELLA SERA
ROMA – Dai timori dell’anno precedente al panico generalizzato. Aumentano i problemi per le famiglie sulla scia della crisi mondiale. E il peggio deve ancora arrivare. Ma il Sistema Italia sembra avere gli anticorpi per «la svolta epocale, per una grande metamorfosi». questa in sintesi la fotografia scattata dall’istituto di ricerche Censis nel «Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2008», presentato ieri nella sede del Cnel a Roma.
Il quadro generale è allarmante. Sette italiani su dieci ormai pensano di non riuscire «a mantenere per il futuro lo stesso tenore di vita». Più di 11 milioni di famiglie sono a rischio default, a causa di investimenti in strumenti finanziari a rischio, forme di indebitamento varie e spese azzardate. E 81 mila persone non riescono già adesso a pagare la rata del mutuo. Secondo Giuseppe De Rita, presidente del Censis, «per ora la crisi non è stata tragica, ma l’aggravamento, che ci sarà sicuramente, sarà prevedibilmente tra febbraio e marzo e potrebbe portare all’incapacità di controllo. E nonostante il «senso di adattamento di famiglia e imprese», «il vero problema comincerà dopo Natale quando finirà un ciclo di propensione alla spesa e comincerà un periodo di bassa stagione che potrebbe frenare i consumi».
Al tempo stesso, però, c’è stato «un salutare allarme collettivo. Si tratta ora di vedere se il corpo sociale coglierà la sfida, se si produrrà una reazione vitale per recuperare la spinta in avanti, sebbene siano in agguato le italiche tentazioni alla rimozione dei fenomeni, alla derubricazione degli eventi, all’indulgente e rassicurante conferma della solidità di fondo del sistema». E ancora la crisi – secondo i ricercatori – rappresenta «l’occasione per la seconda grande metamorfosi del sistema Italia» dal dopoguerra, dopo quella fra il 1945 e il 1975. Fra l’altro il tessuto imprenditoriale italiano, secondo il Censis, si sta rivelando più solido rispetto ad altri Paesi europei.
Paure, ma anche speranze. Il 37,7% degli intervistati si è detto fiducioso sulla capacità di «cavarsela sempre nei momenti peggiori ». Inoltre, nonostante la crescente propensione a ridurre i consumi, oltre il 56% degli italiani giudica irrinunciabile la spesa per i telefonini cellulari. Il rapporto del Censis conferma la crescita del lavoro precario, il divario Nord-Sud per quanto riguarda tutti gli indicatori economici, anche se la sicurezza ha due facce: mentre il Meridione detiene il record degli omicidi, nel Settentrione è più alto il numero di incidenti automobilistici mortali.
Paolo Foschi
DARIO DI VICO SUL CORRIERE DELLA SERA
La Storia non è arrivata al capolinea. Per quanto la crisi si stia rivelando inattesa e grave, e per quanto drammatici si preannuncino i primi mesi del 2009 con il loro calvario di licenziamenti e depressione, la storia non sembra incamminata verso i suoi ultimi giorni. E’ facile pensare che con essa non si esauriranno né il capitalismo, né il mercato e non resteranno mute nemmeno le bistrattatissime culture liberali. Il moderno continuerà la sua corsa, riprenderà a produrre le sue contraddizioni e i suoi squilibri, libererà energie e ne comprimerà altre, ma non c’è all’orizzonte un «altro mondo » e neppure si è delineata finora un’offerta culturale alternativa capace di rileggere in toto il «nostro mondo».
E’ questa la riflessione che si offre alla lettura dell’annuale Rapporto del Censis, lo strumento forse più incisivo di cui dispongano le élite per cercare di capire le Main Street italiane. La crisi è descritta nei suoi contorni reali e angoscianti, si evoca addirittura la parola «panico», e l’invito ai politici e all’opinione pubblica è a non rimuoverla nemmeno cercando conforto nella vivacità dei nostri distretti o nella tradizionale forza del familismo italiano. Sono immagini che abbiamo scattato per primi noi, sottolinea maliziosamente Giuseppe De Rita, e credeteci se vi diciamo che non sono sufficienti. Serve qualcosa di più, un cambiamento profondo. Il rapporto la chiama «seconda metamorfosi» (la prima è quella degli anni tra il ’45 e il ’75) e si spinge a sostenere che è già silenziosamente in marcia. Insomma stiamo già reagendo anche se non ne siamo ancora consapevoli.
Si può ovviamente discutere se davvero i caratteri e i soggetti della metamorfosi saranno quelli che De Rita indica nel Rapporto, ovvero le minoranze vitali, la presenza degli immigrati, il protagonismo delle donne, nuovi stili di vita e di consumo. Se così fosse sarebbe da gioirne perché l’uscita dal tunnel farebbe il paio, questa volta, con il delinearsi di una società più matura e insieme più mobile e aperta, mentre oggi la crisi con le sue urgenze, con il suo impellente «qui ed ora», privilegia l’agenda degli insider, la forza dei gruppi organizzati a scapito dei precari e delle nuove generazioni. Ma la scommessa deritiana sulla metamorfosi è comunque un richiamo all’establishment italiano a non rinchiudersi nella fortezza assediata, a rispondere ai colpi della crisi aprendo le finestre e non accentuando il carattere oligarchico della nostra società.
A suo modo il Rapporto è un investimento sul proseguimento della storia ed è significativo che lo abbia prodotto «un uomo di economia mista, un figlio di Pasquale Saraceno» – come ama definirsi lui stesso ”, un intellettuale cattolico che non è stato mai apologeta del mercato. Ed è ancora più interessante notare come riflessioni non molto distanti dalle sue le abbia espresse domenica scorsa, in un’intervista al
Corriere, Mario Monti. A sua volta un uomo radicato nella cultura del mercato e dell’Europa, un figlio di Luigi Einaudi. Se De Rita e Monti guardano dalla stessa parte, se si pongono domande analoghe ed entrambi – ciascuno con il proprio lessico – sentono l’esigenza di riprendere il cammino della ricostruzione italiana, vorrà pur dir qualcosa: la modernità non è un mostro.
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