Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il presidente del Consiglio Mario Monti con il suo ministro Elsa Fornero; i sindacati dei lavoratori con i loro tre leader ABC (Angeletti-Bonanni-Camusso); i partiti con i loro tre leader ABC (Alfano-Bersani-Casini); i sindacati dei padroni e dei padroncini, cioè la Confindustria e Rete Imprese Italia; tutti costoro si stanno agitando alla grande, restando però sostanzialmente fermi, dato che non si trova un punto di ricucitura delle diverse posizioni e dunque lo strappo, alla fine, rischia di essere forte, storicamente forte.
• Stiamo parlando della trattativa sul mercato del lavoro.
Certo. Prima di tutto c’è una divisione tra i tre ABC del sindacato, mentre i tre ABC della politica per ora, su questo argomento, sono d’accordo. Bonanni la nega, ma la divisione c’è: ABC si sono incontrati ieri nella sede della Cgil in corso d’Italia a Roma e si sapeva che tentavano di elaborare una specie di proposta comune, con la quale magari mettere in difficoltà il governo. Una proposta cioè che sarebbe stato difficile, o incomprensibile, rifiutare.
• E invece?
La proposta comune alla fine non è uscita fuori. Bonanni e Angeletti (Cisl e Uil) invitano a non trarre conclusioni affrettate: «Stiamo lavorando». Cioè l’accordo tra di loro – la proposta – potrebbe venir fuori nella notte o stamattina. L’appuntamento con Monti è per oggi. Ci sperano. Bonanni s’è caparbiamente dilungato a elencare le «cose buone» ottenute finora da Cgil-Cisl-Uil.
• Sarebbero?
L’uso dell’apprendistato come forma prevalente per l’assunzione di giovani, lasciando perdere tirocini, stage e tutte le altre forme di flessibilità cosiddetta «cattiva» (partite Iva finte, co.co.pro ecc.). Il maggior costo dei contratti a tempo determinato che dovrebbero spingere gli imprenditori ad utilizzare preferibilmente i contratti a tempo indeterminato. L’estensione degli ammortizzatori sociali anche ai piccoli. Secondo Bonanni sono in vista soluzioni soddisfacenti anche per la mobilità degli over 55.
• Quindi?
Quindi niente, perché sull’articolo 18 la Camusso non schioda i suoi. In questo momento la riscrittura dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che sembra più probabile è questa: l’impresa può licenziare il dipendente per motivi economici e versargli un indennizzo; se licenzia per motivi disciplinari sarà il giudice a decidere se bisogna reintegrarlo o indennizzarlo. Una riforma così in Cgil non passa. Landini vuole che si proclamino due ore di sciopero per affermare che «l’articolo 18 non si tocca». Ieri la Fiom ha organizzato una manifestazione di cinquemila persone a Genova e lo striscione di testa diceva appunto: «L’articolo 18 non si tocca». Che può fare Camusso? Magari ha la maggioranza (anzi ce l’ha di sicuro), ma come escludere che la Fiom, in caso di firma, se ne vada per conto suo formando un partito-sindacato? È lo stesso dramma che avrà davanti a sé Bersani quando si troverà il provvedimento in Parlamento e gli faranno la guerra da sinistra. Oltre tutto non è solo la Cgil a puntare i piedi. S’è messo di traverso anche Angeletti, capo della Uil, rompendo per la prima volta il sodalizio con la Cisl. Angeletti dice che la modifica dell’articolo 18 lascia troppo potere ai padroni. Fa anche tattica, però: siccome pensa che nessun accordo alla fine sarà firmato, si prepara a non farsi tagliar fuori dalla protesta e dalle lotte (eventuali). Bonanni invece è totalmente concentrato a trovare la via per firmare.
• Perché non sono d’accordo neanche Confindustria e Rete Imprese Italia?
La riforma prevede che i contratti a tempo determinato (o precari o flessibili) costino di più alle aziende e questo comporta, specialmente per le piccole imprese, un aumento sensibile dei costi, in questo momento difficile da tollerare. L’altra sera da Fazio la Fornero ha detto: «Il fatto che siano tutti scontenti è la prova che stiamo lavorando per l’interesse generale e non per far contenta questa o quella parte». Mentre scriviamo (è il cuor della notte) i sindacati sono al ministero del Lavoro, in via Flavia, a studiare con Fornero una via d’uscita. Tutti infatti vorrebbero una riforma condivisa. Ma quelli che devono cedere, a quanto pare, sono proprio i sindacati, dei lavoratori e dei padroni. Ieri lo ha detto anche Napolitano: «Penso che sarebbe grave la mancanza di un accordo cui le parti sociali diano solidalmente il loro contributo. Io mi aspetto che anche le parti sociali dimostrino che è il momento di far prevalere l’interesse generale su qualunque calcolo particolare. Lo richiedono le difficoltà del Paese e dei giovani».
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