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 2012  marzo 20 Martedì calendario

I problemi dell’Italia si possono osservare da due diverse prospettive: da Roma, come da tutte le capitali, appare in primo piano la politica

I problemi dell’Italia si possono osservare da due diverse prospettive: da Roma, come da tutte le capitali, appare in primo piano la politica. Ovviamente non mi riferisco ai ministri di questo governo, ma a quei politici che parlano del futuro dell’Italia e in realtà pensano solo al futuro proprio, a quale posto riusciranno a occupare nel prossimo giro della giostra romana. Si stracciano le vesti se il governo usa il voto di fiducia per evitare che alcuni provvedimenti vengano del tutto svuotati di efficacia in Parlamento: in realtà temono solo che il voto di fiducia annulli il loro potere di intermediazione fra governo e corporazioni. Alti dirigenti dello Stato che asseriscono l’impossibilità di tagliare anche di un solo euro la spesa pubblica, difendono l’assoluta necessità dei 30 miliardi che ogni anno lo Stato trasferisce ad imprese pubbliche e private: tutti essenziali, e soprattutto quelli destinati alle aziende nei cui consigli di amministrazione essi siedono da anni. Da questo osservatorio si rischia di confondere le corporazioni (lo sono anche Confindustria e i sindacati) con le istituzioni. È un ambiente dal quale è impossibile estirpare il virus della corruzione. Un mondo nel quale diventa persino difficile nominare il direttore generale del Tesoro, incarico (come ricordai sette settimane or sono) forse ancor più delicato di quello di Governatore della Banca d’Italia, e un nodo che il presidente del Consiglio non è ancora riuscito a sciogliere. Diversamente si può guardare l’Italia da un’altra prospettiva: quella degli investitori che hanno acquistato il nostro debito pubblico e ogni giorno si chiedono se sia ancora un buon impiego dei risparmi che sono stati loro affidati. Essi non risiedono solo a Milano, Londra o New York, ma anche a Omaha, Nebraska, dove ha sede la società di Warren Buffet, uno dei più abili investitori al mondo, a Oslo e a Singapore, dove hanno sede grandi fondi sovrani. Peraltro non c’è bisogno di spostarsi tanto lontano per avere una prospettiva diversa sui problemi italiani: è sufficiente recarsi a Palermo e fare una chiacchierata con Ivan Lo Bello, il presidente degli industriali siciliani. Da anni ripete che ogni euro di spesa pubblica è un colpo alla concorrenza, agli imprenditori che cercano di farcela da soli, e invece un aiuto a quelli più abili nel percorrere i corridoi dei ministeri che a esportare. Ci si può anche chiedere come reagiranno i cittadini tedeschi quando leggeranno che l’Italia, dopo essersi ripetutamente (e a mio avviso incautamente) impegnata al pareggio di bilancio nel 2013 — senza mai aggiungere «se il ciclo lo consentirà» — dovrà rivedere i propri obiettivi e spostare in là nel tempo quell’impegno. Da questi osservatori appare chiaro che le difficoltà non stanno nei problemi da risolvere, ma nel mondo che a Roma s’interpone fra il problema e la sua soluzione. Non c’è dubbio che Mario Monti sia in assoluto la persona che meglio conosce e apprezza le preoccupazioni degli osservatori internazionali, preoccupazioni che riprendevo nel mio articolo del 17 marzo («L’emergenza non è finita») e che il premier sabato ha accusato di eccessiva impazienza. Capisco le difficoltà di fare fronte a quell’emergenza. Ma anche Prometeo per regalare il fuoco e la speranza agli uomini fu condannato al supplizio...