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 2012  marzo 20 Martedì calendario

QUANDO LA CGIL VOLEVA RIVEDERE L’ARTICOLO 18

Nel giugno 1985 l’assemblea del Cnel approvò un documento, predisposto dalla commissione Lavoro, in cui si chiedeva tra l’altro una limitazione drastica dei casi di reintegro in presenza di un licenziamento individuale. Della commissione, facevano parte Luciano Lama, segretario generale della Cgil, e Vittorio Merloni, presidente di Confindustria dal 1980 al 1984. Il documento fu licenziato a maggioranza: i rappresentanti degli imprenditori si dichiararono contrari ai suggerimenti proposti perché giudicati troppo timidi
I licenziamenti sono indubbiamente la materia più aspra del diritto del lavoro, dove è arduo trovare il giusto punto di equilibrio tra la libertà di iniziativa dell’impresa tutelata dall’articolo 41 della Costituzione, della quale è un corollario indefettibile il potere organizzativo dell’impresa, e l’interesse del lavoratore ad avere un lavoro sicuro, tutelato dagli articoli 4 e 41. Perciò la disciplina dei licenziamenti assume un rilievo essenziale per la determinazione delle posizioni reciproche del datore e del prestatore di lavoro. Una disciplina restrittiva oltre un certo limite finisce con modificare la stessa natura del rapporto, conferendo consistenza normativa alla concezione del posto di lavoro come bene giuridicamente protetto, cioè oggetto di un diritto di appartenenza del lavoratore. È probabile, tuttavia, che negli anni a venire la politica di tutela del posto di lavoro come tale (...) sia destinata a essere sostituita da una politica più elastica e globale di tutela dell’occupazione, coordinata con una politica di mobilità di lavoro (...).
L’origine
Per i datori di lavoro con più di 35 dipendenti il regime di libertà di licenziamento del codice è stato sostituito da un regime di controllo che consente il licenziamento solo per giustificato motivo o per giusta causa (legge 15 luglio 1966, n.604). Il regime della legge 604 (...) ha natura indennitaria: accertata la mancanza di giustificato motivo, il datore di lavoro ha la scelta tra la riassunzione del lavoratore entro tre giorni e il pagamento di una penale, fissata dal giudice entro un minimo e un massimo (articolo 8). Questo limite meramente obbligatorio è stato trasformato dall’articolo 18 dello statuto dei lavoratori in un limite "reale", che comporta l’ordine incondizionato di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, previa dichiarazione di invalidità del licenziamento.
La svista della Camera
Senonché, per un singolare infortunio occorso al legislatore del 1970, il campo di applicazione dell’articolo 18 non coincide con quello della legge n.604, ma in relazione alle imprese è definito in base ai criteri, affatto diversi, previsti dall’articolo 35 della legge numero 300. La menzione nell’articolo 35 dell’articolo 18, accanto alle norme del titolo III dello statuto, si spiega perché nel progetto originario del ministro Brodolini quello che poi è divenuto l’articolo 18 era limitato ai casi di licenziamento discriminatorio previsti dall’articolo 4 della legge 604, dei quali i più frequenti e gravi sono quelli determinati da ragioni antisindacali. Perciò l’istituto della reintegrazione era richiamato nell’articolo 35 nella misura in cui adempiva la medesima funzione delle norme del titolo III, cioè la funzione di tutela dell’attività sindacale nelle aziende. La Camera dei deputati generalizzò l’istituto a tutti i casi di licenziamento ingiustificato, ma poi si dimenticò di limitare il richiamo dell’articolo 35 alla seconda parte dell’articolo 18, relativa al licenziamento di dirigenti di rappresentanze sindacali, e di definire invece l’ambito applicativo della prima parte alla stregua dei criteri, eventualmente modificati, della legge 604.
Conseguenze irrazionali
Secondo la nuova interpretazione: a) Le imprese industriali con meno di 36 dipendenti continuano a usufruire della libertà di licenziamento, ai sensi dell’articolo 2118 c.c., anche nelle unità produttive che occupino più di 15 dipendenti; b) la legge 604 si applica soltanto alle imprese industriali e commerciali con 35 dipendenti, integrata dall’articolo 18 delle legge 300 nelle unità produttive che occupano più di 15 lavoratori, senza l’articolo 18 nelle unità con meno di 16 addetti. In questi termini lo scopo di razionalizzazione è raggiunto, del resto solo parzialmente, con un alto costo sia per i lavoratori, sia dal punto di vista dell’equità complessiva dell’ordinamento. La sentenza n.6068/1983 finisce infatti col riportare sotto il regime dell’articolo 2118 del codice civile circa due terzi dei lavoratori occupati in base a un rapporto privato di lavoro, creando così un fortissimo squilibrio che contrappone un’area ristretta di lavoratori iperprotetti a un’area molto più vasta di lavoratori privi di qualunque protezione.
Un sistema iniquo
Una simile disciplina, iniqua anche nei rapporti tra le imprese, in quanto distorce le regole di libera concorrenza, si distanzia marcatamente dagli ordinamenti dei Paesi industrializzati nostri partners nel mercato comune, dove vige la tutela omogenea per tutti i lavoratori contro i licenziamenti, dalla quale sono esonerate soltanto le piccolissime imprese (in Germania, per esempio, quelle con non più di cinque dipendenti).
Reintegro no, indennizzo sì
Complessivamente l’esperienza applicativa dell’articolo 18 dello statuto non suggerisce un giudizio positivo della reintegrazione, che nei termini generali in cui è previsto nel nostro diritto non trova riscontro in alcun altro ordinamento. Le considerazioni brevemente esposte hanno indotto la Commissione ad orientarsi nel senso di porre una radicale revisione della disciplina dei licenziamenti individuali in termini tali da consentire l’introduzione di una normativa uguale per tutti i lavoratori e tutti i datori di lavoro, eccettuati i dirigenti ai massimi livelli dell’impresa, le piccole imprese con non più di cinque dipendenti e rapporti di lavoro concernenti prestazioni di carattere domestico.
L’obbligo incondizionato di reintegrare nel posto di lavoro dovrebbe essere limitato ai casi di licenziamento radicalmente nullo per vizi di forma (per esempio licenziamento per motivi disciplinari intimato senza osservanza delle garanzie di pubblicità e proceduali; licenziamento orale) oppure per illiceità del motivo (licenziamento discriminatorio; licenziamento per causa di matrimonio; licenziamento per ritorsione (...).
Libera scelta per i datori
Negli altri casi l’accertamento della mancanza di giustificato motivo o di giusta causa non dovrebbe comportare l’ordine di reintegrazione, bensì un dispositivo di condanna alternativa (...) che lasci al datore di lavoro la scelta tra la riassunzione del lavoratore entro un termine molto breve oppure il pagamento di una penale a titolo di risarcimento del danno (...).
Lo sviluppo storico del nostro diritto del lavoro, formato dai successivi strati normativi improntati a ideologie e politiche del diritto diverse, ha fortemente indebolito la coerenza sistematica di questa disciplina. Il Cnel ritiene urgente un intervento legislativo almeno di parziale riordino della disciplina dei rapporti di lavoro (...). Con riguardo ai licenziamenti individuali il Cnel ritiene necessario un intervento legislativo che elimini le irrazionali e inique disparità di trattamento dei lavoratori, che caratterizzano l’attuale disciplina, articolata in tre regimi diversi, di incerta limitazione, in contrasto con i regimi omogenei e generalizzati vigenti negli altri Paesi della Comunità europea (...). Considerando che l’esperienza applicativa dell’istituto della reintegrazione nel posto del lavoro non è stata positiva, il Cnel ritiene che tale istituto debba essere limitato ai casi di licenziamento radicalmente nullo per vizi di forma o per motivo illecito (licenziamento discriminatorio, licenziamento per ritorsione, licenziamento per causa matrimonio). (...) Il Cnel ritiene inoltre che debba essere favorito il ricorso all’arbitrato per la soluzione delle controversie in materia di licenziamenti individuali.