Roberto Perrone, Sette 20/3/2012, 20 marzo 2012
IL GESTO VINCENTE
Q
uando Glenn Burke diede l’high five al compagno Dusty Baker, il 2 ottobre del 1977, durante la partita tra i Los Angeles Dodgers e gli Houston Astros, non immaginava certo che quel gesto sarebbe diventato il rito sportivo più copiato nel mondo, dal cinema alla letteratura, dal bar alla scuola media. Dammi il cinque, amico. Come sempre, il problema sono le imitazioni. In una partita di Coppa Davis di tennis, a Bari, nel 1991, Diego Nargiso e Omar Camporese per poco non persero il doppio perché l’irruenza di Nargiso provocò una micro-frattura alla mano di Camporese.
Tutto lo sport è un immenso paradiso di riti, a partire dal football. Come scrive Desmond Morris (La tribù del calcio, 1981) «è importante ripetere una volta per tutte che non esistono dubbi circa il significato religioso di una partita di calcio». L’affermazione può essere trasferita anche ad altri sport, anche se “Lo spettacolo del calcio”, come Eugenio Buonaccorsi, professore di storia del teatro all’università di Genova, chiamò il suo corso del 1991 (l’anno d’oro di Genoa e Sampdoria), è quello dove i gesti dei protagonisti fanno più in fretta a propagarsi.
E a proposito di religione, il gesto più ripetuto sui campi, nelle piscine, nei palazzetti di tutto il mondo è il segno della croce. Ovviamente, seguendo l’imperfetta natura umana, quelli che si sono segnati, come entrando in una chiesa, ruberanno, imbroglieranno, simuleranno. Meglio lasciare stare i santi e guardare i fanti degli All Blacks, la nazionale neozelandese di rugby che interpretano la Ka Mate, la più celebre forma di Haka, la possente danza maori esibita agli avversari e a se stessi, prima di ogni incontro.
ADDIO ALLO STILE BRITISH
Ci sono anche gesti che sembrano riti ma che invece sono frutto del cambio dei costumi e del gioco. Per esempio le palline infilate sotto la gonna dalle tenniste. Ai tempi della mitica Lea Pericoli sarebbe stato inconcepibile, ma ora, nel tennis moderno, più veloce e cruento anche tra le femmine, l’atleta ha bisogno di velocizzare il servizio. La spagnola Arantxa Sánchez si inventò una specie di “fondina” che applicava all’elastico del gonnellino, dietro la schiena.
Ma che cos’è che fa diventare un gesto apparentemente istintivo o appartenente a una sola tribù qualcosa di collettivo? Per Desmond Morris è stata la madre della globalizzazione, la tv. Fino agli Anni 50, l’esultanza sui campi si declinava in puro stile british: una stretta di mano, una pacca sulla spalla. Poi gli inglesi videro che il mondo esultava con baci e abbracci e pensò di restare indietro, finendo con l’adeguarsi. Secondo la leggenda la prima esultanza sopra le righe nel calcio italiano appartiene ad Angelo Mammì (1943-2000), il piccolo attaccante che segnò di testa a pelo di fango il gol storico del Catanzaro (ultimo in classifica, neanche una vittoria) alla Juventus il 30 gennaio del 1972. La corsa incontenibile di Mammì, che non voleva più fermarsi, è paragonabile a quelle di Forrest Gump.
IL CORNER DI JUARY
A proposito di giri di campo, dall’atletica è scaturito il gesto più cliccato degli ultimi anni, l’arciere, copyright Usain Bolt, ma ormai passato anche ad altre discipline: il nostro sciatore Max Blardone lo ha ripetuto, con uno sci e un bastone come arco e freccia. Il primo a danzare attorno a una bandierina è stato Juary all’Avellino. Dopo di lui il corner è stato un posto frequentatissimo nei riti del calcio, con la povera bandierina sfruttata in ogni modo e perfino distrutta da Antonio Cassano. Il primo a fare il gesto della culla per festeggiare un gol fu il brasiliano Bebeto ai Mondiali del 1994 negli Stati Uniti. Il gesto dell’udito (la mano all’orecchio) ha un capostipite in Marco Delvecchio (Roma). Negli Anni 90 attorno alla squadra giallorossa gravitava un gruppo di cabarettisti che suggerivano ai giocatori i gesti da eseguire in partita. Totti introdusse il pollice in bocca (“il ciuccio”) per un bambino appena nato.
La primogenitura del “trenino” appartiene a Igor Protti e ai suoi compagni del Bari degli Anni 90, mentre l’abitudine di infilare la testa nella maglia l’ha propagandata “penna bianca” Fabrizio Ravanelli. Al nuotatore Luca Marin non piaceva il rito della sua fidanzata di allora, Laure Manaudou, che, dopo ogni vittoria, faceva il cuore con le mani. Nel calcio, il più famoso interprete delle corrispondenze amorose è il milanista Pato. Infine, come ricorda ancora Desmond Morris, tra i trucchi/riti c’è quello del buffone. «Giullari di corte, clown che si prendono gioco del solenne rituale sportivo».
In realtà servono a far perdere concentrazione agli avversari, si attengono a un copione ben preciso anche se sembrano appartenere alla commedia dell’arte. In genere sono i portieri, ricordiamo il belga Jean-Marie Pfaff, il colombiano Higuita che inventò la parata dello scorpione (respinta con i talloni saltando in avanti) e il polacco Jerzy Dudek che, nel 2005, a Istanbul nel corso dei rigori che decidevano la finale di Champions League tra Milan e Liverpool, improvvisò una danza che irretì i tiratori rossoneri. Una storia che non è finita, ma che attende solo il prossimo rito.