Sergio Rizzo, Corriere della Sera 20/3/2012, 20 marzo 2012
ROMA —
Rassegniamoci: i 7 milioni di ettari che il magnate brasiliano Cecilio do Rego Almeida comprò nel Mato Grosso sono inarrivabili. Però nemmeno i 338 mila che in Italia secondo la Coldiretti appartengono a soggetti pubblici, sono da buttare via. È una superficie più grande della Valle D’Aosta, con piazzamento assicurato nella top ten dei latifondisti mondiali. Molte terre coltivabili sono di proprietà di Regioni ed enti locali. Ma lo Stato centrale, da solo, ne possiede ben 17 mila ettari. Ossia cinque volte la tenuta di Maccarese, considerata la più grande azienda agricola italiana, ceduta dall’Iri ai Benetton a fine anni Novanta.
Ironia della sorte: proprietario del ben di Dio è un ministero (l’Agricoltura) che gli italiani avevano cancellato per referendum nel 1993. E quei 17 mila ettari, dice un’indagine dei gruppi del Pd nelle Commissioni agricoltura di Senato e Camera guidati da Leana Pignedoli e Nicodemo Oliverio, sono ora uno dei problemi più grossi ereditati dal nuovo ministro Mario Catania insieme a una massa di enti (undici, più un dedalo di società controllate) che fanno capo al suo dicastero. Un groviglio proliferato negli anni per ragioni politiche, che ora i democratici chiedono di sciogliere, riassemblando tutto in soli quattro soggetti, con una proposta di legge per tagliare sovrapposizioni, sprechi e diseconomie.
Prendiamo la ricerca. Il Cra (Consiglio per la ricerca in agricoltura) ha 1.800 dipendenti, 47 centri sparsi per l’Italia e 5.300 ettari a colture sperimentali. Fino al commissariamento è stato in mano all’ex senatore Domenico Sudano, professore di francese già segretario siciliano dell’Udc e in seguito coordinatore locale del Pid, il partito del ministro Francesco Saverio Romano che l’aveva nominato. Però anche l’Inea, con 300 dipendenti e 20 filiali regionali, opera nella ricerca: è presieduto dall’ex consigliere regionale veneto Tiziano Zigiotto, eletto nel 2005 con il listino del governatore e futuro ministro Giancarlo Galan, autore della sua nomina. E fa ricerca pure l’Inran, che ha 160 addetti e un cda dove hanno trovato posto un ex deputato Ds (Giuseppe Rossiello) e un ex candidato azzurro alle regionali venete (Amedeo Gerolimetto).
L’Ismea, 153 dipendenti, finanzia invece l’acquisto dei terreni da parte degli agricoltori. E se gli acquirenti non riescono a rimborsarlo diventa padrone. In questo modo, avendo investito circa 1,5 miliardi, si ritrova proprietario di 11.309 ettari. Non bastasse, l’istituto presieduto da Amedeo Semerari, un tempo esperto agricolo di Forza Italia, controlla altre cinque società. Fra cui Buonitalia, ora in liquidazione. Liquidatore è Alberto Stagno D’Alcontres, fratello del deputato Francesco Stagno D’Alcontres eletto nel 2008 con il Popolo della libertà.
Ma l’Ismea non è l’unica struttura «finanziaria» del ministero. C’è infatti l’Isa, l’Istituto di sviluppo agroalimentare creato nel 2004 dall’ex ministro di An Gianni Alemanno. Ha una quarantina di dipendenti e oltre a finanziare le imprese, detiene una manciata di partecipazioni in aziende agricole. Le risorse investite sono 650 milioni. Denari affidati all’amministratore delegato Annalisa Vessella, consigliere regionale della Campania e consorte del deputato Michele Pisacane, cofondatore del partito di Romano. Con lei, due leghisti (Nicola Cecconato e Giampaolo Chirichelli) e un ex deputato regionale siciliano (Decio Terrana) bocciato alle ultime elezioni.
Il pezzo forte è però l’Agea, che distribuisce i fondi comunitari: sette miliardi l’anno. L’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, 300 dipendenti, agisce anche come esattore. Il che ha dato luogo a non pochi effetti collaterali. Come un clamoroso doppio ribaltone che ha riportato al vertice, dopo una sentenza del Tar, l’ex senatore della Lega Nord Dario Fruscio silurato dai suoi perché voleva far pagare le multe appioppate da Bruxelles agli allevatori che sforano le quote latte. I contributi sono pagati sulla base dei dati gestiti dalla Sin, società informatica posseduta al 51% ma sulla cui funzionalità esistono serie riserve da parte degli attuali vertici dell’Agea e dello stesso ministro. Rigorosamente bipartisan la governance: presidente l’ex europarlamentare Ds Francesco Baldarelli, vice l’ex presidente della Provincia di Ragusa Concetta Vidigni, candidata Udc alle europee del 2009 e già esponente del partito di Romano. Mentre le verifiche sono all’Agecontrol, che ha 25 sedi periferiche dalla Sicilia al Veneto e risulta paradossalmente controllata dalla stessa Agea, cioè dal soggetto che eroga i contributi. Presidente è l’ex candidato Udc alla presidenza della Provincia di Caltanissetta, Massimo Dell’Utri, e fra i consiglieri c’è l’ex deputato Ds Ugo Malagnino.
Il massimo però è l’Unire, appena ribattezzata Assi, Agenzia per lo sviluppo del settore ippico. Con il tempo è diventata l’ingombrante presenza dello Stato nel mondo delle scommesse ippiche. Settore, peraltro, che versa in una crisi profonda e a quanto pare irreversibile. Gestisce i calendari delle corse e ha anche una televisione che trasmette le immagini degli ippodromi alle agenzie dove si raccolgono le puntate: dal 2006 al 2008, secondo quanto riferisce lo studio del Pd, ha bruciato 110 milioni di soldi pubblici. Occupa 195 persone e attualmente è in mano a un commissario, il consigliere di Stato Claudio Varrone. Il governo di Silvio Berlusconi l’ha nominato mentre ricopriva l’incarico di capo di gabinetto del ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla.
Sergio Rizzo