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Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Le agenzie ieri dicevano che il 55 per cento degli italiani farà Pasqua e Pasquetta in casa per colpa del prezzo della benzina, arrivata a 1,4 euro il litro. Un pieno costa perciò dieci euro in più dell’anno scorso, quando alla pompa si pagava 1,2 euro al litro. Le associazioni dei consumatori hanno rilevato che il livello di prezzo 1,408-1,422 è stato raggiunto quindici giorni fa, mentre il petrolio ha sfiorato gli 85 dollari a barile appena giovedì.
• Cioè, come al solito, quando il greggio costa di più, il prezzo del carburante si adegua immediatamente o addirittura in anticipo. Quando scende, la pompa si aggiusta con almeno due giorni di ritardo, e qualche volta anche di più.
Sì, e specifichiamo subito che i gestori, di questo andirivieni, non hanno alcuna responsabilità. I gestori incassano 4,5 centesimi lordi per ogni litro di benzina che vendono, cioè 3,7 netti per la modalità servito e 3,1 per la modalità fai da te. Con quei soldi pagano tutto: energia elettrica, acqua, stipendi (un operaio costa all’incirca 40.000 euro l’anno). Quando il cliente paga con il bancomat, la commissione è dello 0,5%, dell’1,25% se il cliente salda invece con la carta di credito. Commissioni che all’estero sono molto più basse e in certi paesi inesistenti. In Svezia, per esempio, la maggioranza dei distributori ha eliminato l’utilizzo dei contanti e le colonnine per il rifornimento sono attrezzate solo per il pagamento con bancomat. Teniamo infine conto che il prezzo della materia prima influenza il prezzo al consumatore per appena il 28%.
• Il resto sono tasse, no?
Sì, tasse e margini. una storia vecchia, amaramente divertente. Su ogni litro di benzina versiamo una tassa, detta accisa, che è il risultato di vari interventi d’emergenza, decisi nel corso dei decenni per riparare, in ordine cronologico, ai danni della guerra d’Abissinia (combattuta nel 1936), la crisi di Suez (1956), la tragedia del Vajont (1963), l’alluvione di Firenze (1966), il terremoto del Belice (1968), il terremoto del Friuli (1976), il terremoto dell’Irpinia (1980), la missione in Libano (1983), la missione in Bosnia (1996), il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri (2004). Su queste tasse si applica poi un’altra tassa, cioè l’Iva, il che è il colmo degli assurdi.
• Ma non si potrebbe venire incontro alla gente e levare tutte queste gabelle?
E’ praticamente impossibile. L’origine di queste imposizioni è poi ormai invisibile. Un decreto legge del 1995 accorpò le varie voci in un’unica accisa pari a circa 1.000 lire (51,8 centesimi). Da quella cifra si è arrivati agli attuali 56,4 centesimi attraverso tre interventi: un aumento a 54,2 cents nel giugno 2001; un altro, a 55,9, nel dicembre 2003, per rinnovare il contratto dei tranvieri; l’ultimo, a febbraio 2005, per misure urgenti di tutela ambientale, l’ha portata a quota 56,4 centesimi. Per lo Stato si tratta di un incasso di 30 miliardi l’anno e, con i nostri conti pubblici disastrati, non si può rinunciare.
• E se a un certo punto la gente smettesse di andare in macchina?
In un certo senso sta già succedendo. L’Unione petrolifera ha annunciato che nei primi undici mesi del 2009 in Italia sono stati consumati 33 milioni di tonnellate di carburanti, il 3,1% in meno rispetto allo stesso periodo del 2008. La benzina nel periodo considerato ha mostrato una flessione del 3,9% (-394.000 tonnellate), il gasolio del 2,8% (-673.000 tonnellate). Nello stesso periodo le nuove immatricolazioni di autovetture sono risultate in diminuzione dell’1,4%, con quelle diesel a coprire il 42,1% del totale (era il 50,8% nei primi undici mesi del 2008). Si vende meno benzina e a un prezzo più alto.
• Non c’era un problema legato alla nostra rete distributiva, che sarebbe irrazionale?
Sì, secondo l’Unione petrolifera 0,6 centesimi di costo derivano dallo scarso peso degli impianti di benzina nei supermarket (in Francia hanno il 60% del mercato), 1 centesimo è il costo di mantenimento di una rete di pompe che, per le compagnie, è troppo vasta (22.800 impianti, contro i 12.700 della rete francese e i 14.800 della Germania), poi ci sono 0,8 centesimi derivati dalla bassa flessibilità commerciale (pochi prodotti diversi dalla benzina venduti nei nostri distributori, e orari troppo rigidi, con 10 ore di apertura media contro le 14 ore della Francia) e 1,1 centesimi per le carenze dei self service (passa dagli impianti fai da te solo il 29% dei rifornimenti, quota che nel resto d’Europa raggiunge il 90% di media). Si sa che Mister Prezzi ci sta pensando e che anche il governo vuole fare qualcosa. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 3/4/2010]
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