EGLE SANTOLINI, La Stampa 3/4/2010, pagina 21, 3 aprile 2010
CAPELLI GRIGI A VENTI ANNI
L e loro madri, al primo filo bianco, spendono molti soldi per tornare rosse o brune: secondo le stime della Nielsen, 1,3 miliardi di dollari nel 2009 soltanto negli Stati Uniti. Eppure le teenager più trendy di New York e di Londra si sottopongono forsennatamente al processo contrario: al parrucchiere chiedono sempre più spesso di diventare grigie, sull’esempio di Pixie la figlia di Bob Geldof, della pop star Pink, dell’ereditiera Daphne Guinness. C’è cascata pure Kate Moss, ma soltanto per un paio di giorni: il tempo di presentare una nuova linea di borse e via, quelle ciocche color madreperla l’avevano stufata. L’ultima in ordine di tempo a passare al «gray power» è stata invece Tari Gevinson, 13 anni, influente fashion blogger considerata meritevole di sedere in prima fila alle sfilate accanto ad Anna Wintour di «Vogue America» e a «Carine Roitfeld» di Vogue Paris: anche se, di fronte a quel caschetto color ragnatela, si sarebbe tentati di chiamare il corrispettivo americano del telefono azzurro. Ma il fenomeno cresce e autorizza alcune osservazioni, di ordine estetico e perfino di ordine etico. Per esempio: vogliamo vederci un desiderio di maggiore maturità? Magari l’affermazione di una inaspettata sudditanza alle generazioni più vecchie? La conferma che le antiche categorie sono saltate, addirittura una provocazione contro le cinquantenni grottescamente liftate e in minigonna? «Non mi spingerei così in là», suggerisce Alberto Frigeri, titolare di un salone nel centro di Milano dove cominciano ad affacciarsi le prime adepte italiane del culto. «Più che un grigio da incanutimento, questo mi pare l’ennesimo crazy color» E cioè? «E cioè va inteso come un colore pazzo, un po’ punk, molto Anni Ottanta. Ha presente quando andavano i capelli gialli, rosa, azzurri? Poi ci sono state quelle che sceglievano un beige freddo molto particolare, e non si contavano i maschi color platino, che si tingevano anche il pizzo curatissimo, sull’esempio di un modello indiano che una dozzina di anni fa appariva in molte campagne pubblicitarie...». Insomma, più che la moglie di Fantozzi dai capelli color topo o la Meryl Streep del «Diavolo veste Prada» qui c’entrerebbero Annie Lennox e Billy Idol.
Alice e le meraviglie
L’icona più influente della nouvelle vague tricologica pare comunque essere Anne Hathaway, alias la Regina Bianca di «Alice in Wonderland». E ti pareva che non c’entrasse il gusto barocco di Tim Burton, che per il personaggio della sorella buona della Regina di Cuori ha escogitato un look diafano, candeggiato, da eroina del cinema muto: un po’ Mary Pickford e un po’ la sposa di Frankenstein, insomma. Secondo il «New York Times» il messaggio sotteso all’ingrigimento prematuro sarebbe però supremamente assertivo, e snob in maniera quasi fastidiosa. Qualcosa del tipo: «Ho molti soldi, un gran gusto e il coraggio di infrangere un tabù». Certo il rischio è di finire per assomigliare a Crudelia De Mon, ma secondo la formula di Terry, coiffeuse creativa in uno dei due negozi Orea Malià di Milano, queste ragazze vogliono una testa «difficile da fare, difficile da portare, impossibile da dimenticare». Difficile da fare in senso tecnico, perché il processo di decolorazione (di questo si tratta, non di una semplice tintura: come riassume Frigeri, «una cascata di mèches con una colata di azzurrino») comporta molte ore di posa, «e ci sono quelle - continua Terry - che arrivano la mattina alle nove e mezza e alle sette, quando chiudiamo il negozio, sono ancora qui a farci buona compagnia». Siccome poi «è preferibile i capelli lasciarglieli in testa e non darglieli infilati in un sacchetto perché se li riportino a casa», e cioè bisogna fare attenzione ai rischi dell’ossigeno, ecco che il processo va seguito con molte cautele, senza cedere alla tentazione di aumentare la concentrazione dell’ossigeno,proibito per legge a più di 40 volumi.
Caschetti spaziali
Il taglio, su un colore del genere, assume naturalmente un’importanza decisiva. E se ancora resistono certi caschetti spaziali, geometrici, sfilatissimi, che suffragano l’origine punkeggiante del «gray statement», ma che sono preferiti dalle madri sale-e-pepe che decidono di andare fino in fondo più che dalle figlie, queste ultime esigono un’allure alla ninfa dei boschi, vagamente alla elfo Galadriel del «Signore degli anelli», e i capelli prefiscono lasciarli lunghi, magari con qualche piccolo fiocco, onde piatte anni Venti e - orrore - un’innegabile sfumatura lilla. Sciolti sulle spalle o raccolti in una cofana monumentale li hanno portati, in passerella, le silfidi che sfilavano per Chanel e Proenza Schouler: e qualcuno ha sospettato la parrucca o almeno l’extension. Quel che è certo è che, in operazioni del genere, occorre la mano esperta ed è da evitare il fai-da-te: è già diventata una leggenda metropolitana l’esperienza di Faran Krentcil, ventottenne direttrice del sito della rivista «Nylon»,che usò nel lavabo di casa un colorante denominato Virgin Snow (neve vergine) sperando di emergerne «come una principessa rock» e ne uscì tra il viola e il piombo. Utile poi un’amica del cuore che sostenga nel momento fatale dell’esame allo specchio. Perché l’esperienza può essere provante. E il fantasma della prozia che sbagliava sempre cachet e usciva dal parrucchiere con la testa celeste è lì che ti guarda.