ADRIANO SOFRI, la Repubblica 3/4/2010, 3 aprile 2010
QUELLA RAGAZZA CON LA PISTOLA ADDESTRATA PER IL "MARTIRIO"
Le attentatrici suicide si assomigliano tutte: come insetti, vedove nere. Indossano la stessa uniforme nera, la stessa cintura esplosiva, e il po´ di viso che la abaya lascia scoperto non basta a distinguerle: occorre guardare bene. Ho davanti delle fotografie. In una è il 30 marzo, il giorno dopo, c´è la stazione della metropolitana – dal tristo nome, Lubjanka – sullo sfondo donne che depongono mazzi di fiori, in primo piano due giovani a capo scoperto che si abbracciano stretti, hanno indosso dei cappotti. Anche nell´altra foto ci sono due giovani. Dev´essere estate, perché lui ha una camicia a quadri con le maniche corte, lei il sudario nero. Sono in posa davanti al fotografo, anche loro si abbracciano, ma in un modo complicato, perché ambedue impugnano una pistola nella mano destra. Lui è ceceno, ha una bella faccia, singolarmente calma, forse sorriderebbe addirittura. Lei ha una faccia infantile - ha sedici anni - e più chiusa e abbuiata, sembra già pensare che la foto diventerà il ricordo di un lutto e una vendetta. Perché, se no, fotografarsi a mano armata? Sono in Daghestan, si sono conosciuti dopo che lei ha cercato i combattenti attraverso Internet. Lui, Magomedov, è morto, ucciso dai militari russi, tre mesi fa. Lei, Gennet, lo scorso 29 marzo, facendo strage di innocenti nella stazione della metropolitana moscovita, con quattro chili di esplosivo, chiodi, bulloni.
Dai frammenti di lei si è ricostruita la sua identità di "vedova nera": una delle tante. Giovani come lei, e perfino di più. Indotte spesso, a volte forzate, a fare strage di sé e degli altri da uomini che maneggiano corpi di donne, magnaccia di un tipo che si prende per nobile e invece di aspettare l´incasso da marciapiede dietro l´angolo le fa esplodere a distanza e va a ringraziare Dio. Scrisse Anna Politkovskaja: «Non servono tanti sforzi per trasformare una donna in una terrorista suicida usa e getta, perché è già stato fatto tutto. La donna cecena... è stata addestrata al martirio dai metodi usati con la popolazione civile da entrambe le parti combattenti». I più avvertiti del fenomeno - la sconvolgente mutazione umana, l´amore per la morte propria che prende a pretesto l´uccisione altrui - spiegano che la caratteristica delle terroriste suicide è l´assoluta normalità. Hai perduto un padre, un fratello, un figlio: immolarti per vendicarlo, vendicarlo per immolarti, è la più naturale delle scelte. il compimento di un destino, finalmente nella tua mano: la fotografia lo anticipava. Questa volta non è nemmeno necessario figurarsi la vigliaccheria dei maschi che costringono al "martirio" ragazze minorate o violate e ripudiate: basta immaginare un doppio giuramento di fedeltà, all´odio per i russi e al proprio amore, a un amore che fa di due corpi un´anima sola, e di un corpo strappato via dall´altro l´arma per un´impresa memorabile, una rinfusa di nemici senza volto da mandare all´inferno.
A volte - troppo di rado - la ragazza accompagnata fino al punto in cui la cosa dovrà compiersi, a Mosca o a Gerusalemme, si accorge di colpo di non voler più uccidere, o di non voler morire: perché ha guardato in una vetrina, perché si è guardata in una vetrina. Di rado, perché occorre davvero un gran coraggio. più facile andare avanti, scampare alle minacce alla vergogna alla paura, e ritornare dentro la fotografia a essere uno in due, su qualche tomba vuota di montagna, un bastone con uno straccio verde agitato dal vento.
C´è anche, nella sequenza, un´altra foto, in cui la ragazza è sola, e ha il volto coperto dalla pezza nera così che risaltano di più gli occhi - sono blu, mi pare: il suo ragazzo le ha prestato la propria pistola, che è molto più grossa. Lei la impugna col dito sul grilletto. Ho guardato la fotografia con una lente, perché mi sembrava che la ragazza avesse le unghie mangiucchiate.