Nello Ajello, la Repubblica 3/4/2010, 3 aprile 2010
DELITTI E MISTERI LA VITA DEI GUAPPI PRIMA DI GOMORRA
«Si può dire in tutta onestà che a Napoli il più grande e più pericoloso camorrista sia sempre stato il Governo». Autore di questa sentenza dall´apparenza lapalissiana, e perciò tanto più desolante, è Francesco Saverio Nitti, meridionalista insigne. Essa risale ai primi del secolo scorso, il Novecento, che - si legge nella Storia della camorra di Francesco Barbagallo - «tra balli Excelsior e desideri di "belle époque"», iniziava «anche nel segno della "questione di Napoli e del Sud"». Questione antica, che aveva avuto fra i suoi propugnatori più appassionati (e meno ascoltati) studiosi della dignità culturale di Pasquale Villari e Giustino Fortunato, e che allora, proprio per impulso di Nitti, si avviava a trovare uno sbocco legislativo: la «legge speciale» per il capoluogo campano.
Come sempre era accaduto, la "onorata società" si pone in linea con l´evoluzione, reale o apparente, della ex capitale. Una camorra riformata, «più industre e più dotta», si disse, stava per subentrare a quella tradizionalmente plebea, mimando nuovi modi di vivere: quella sdrucita "corte dei miracoli", che era transitata dal potere dei Borbone alle prospettive dell´Italia savoiarda, ora, in questo «tumultuoso passaggio di secolo», contemplava ai propri vertici nuovi emblemi sociologici, i cosiddetti "guappi di sciammèria", intendendosi con quest´ultimo termine una sorta di abito decoroso a portarsi in società, o soltanto vistoso.
La duttilità mimetica della camorra, cioè la sua capacità di rimodellarsi volta per volta dietro gli impulsi della cronaca è il motivo ricorrente dell´opera di Barbagallo: un lavoro storico impegnativo, condotto al seguito di eventi intricati, fra centinaia di personaggi a volte enigmatici ma più spesso meramente turpi, benché depositari, in superficie, di una mitologia fantasiosa. Lungi dal soggiacere alla suggestione di questo retaggio, collegabile alle risorse spettacolari di «una città vivace e creativa da millenni», l´autore ne esamina con freddezza le ricadute ai danni del Mezzogiorno.
Su questa linea si sviluppa un racconto che rischia di sfociare nella disperazione o nel fatalismo, specie quando il lettore assiste a fenomeni di complicità che coinvolgono locali maître-à-penser o suggeritori di mode culturali con le manovre dei camorristi ben annidati nel tessuto amministrativo della città, fra mediazioni, creazione di clientele, offerte di protezione, estorsioni, ricatti, intimidazioni e omicidi: tutto un repertorio accreditato da secoli.
Mi riferisco in particolare a quelle pagine di questa Storia della camorra nelle quali si avverte l´eco d´un volume precedente dello stesso Barbagallo, Il Mattino degli Scarfoglio (Guanda, 1979), nel quale si esaminava il percorso mentale dell´"ineffabile" giornalista abruzzese che, con i quotidiani da lui diretti in compagnia della rinomata consorte Matilde Serao, «si poneva al centro dei più rilevanti interessi politici ed economici napoletani». Assunse un rilievo fra epico e pirotecnico l´opposizione del Mattino alla legge per il Risanamento di Napoli, approvata dopo l´epidemia di colera che devastò la città nel 1884. Tanto bastava a far giudicare da Gaetano Salvemini quella testata il prototipo della "stampa camorrista", autorizzando Gramsci a tacciare il suo direttore, Edoardo Scarfoglio, di «venalità» e di «dilettantismo politico e ideologico»: prerogative in cui si poteva scorgere un peggioramento folcloristico del dannunzianesimo.
Bruciando le tappe in questo excursus - perché sarebbe arduo far puntualmente da scorta allo storico-narratore lungo un paio di secoli - si arriva ai tempi nostri. Non è certo un caso che siano spesso dei disastri a somministrare alla camorra l´esca che la nutre.
Va comunque ricordata l´assunzione di Napoli come capitale europea del contrabbando di sigarette e poi come luogo deputato per il commercio di droga. Un cenno significativo merita il terremoto dell´autunno 1980, che propiziò la fondazione di una specialità camorristica, definita da una studiosa, Ada Becchi, «politica ed economia della catastrofe»: l´affluire di rilevanti flussi di denaro pubblico, originato dal sisma, coincise con il predominio, al vertice della onorata società, di Raffaele Cutolo, detto «’o pazzo» ovvero «’o professore» (e questa coppia di soprannomi designa una temeraria sottigliezza di mente, da arzigogolo criminale). Per la camorra quell´evento segnò un autentico tripudio. Ancora: il rapimento, a opera delle Brigate rosse, di Ciro Cirillo, per la cui liberazione la Dc fu indotta a ricorrere ai servigi - non modicamente offerti - dei "cutoliani".
Da ultimo (ma ogni passaggio viene punteggiato da sussulti interni all´organizzazione, le cui fazioni si disputano il predominio tra cumuli di reciproche vittime) lo scandalo dei rifiuti, nel corso del quale la camorra ha offerto prove maiuscole della sua destrezza, trasformando Napoli e il contado in un ricettacolo per i pattumi tossici dell´intera penisola.
Sullo scadere del 2009, lo riferisce Barbagallo, il governatore della Banca d´Italia, Mario Draghi, avrebbe definito il nostro Sud «il territorio arretrato più esteso e popoloso» della Ue. Un primato che, a meno di non essere un camorrista, deprime.