Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Nel 2009, nel 2010, forse ancora nel 2011 un sacco di gente perderà il posto di lavoro. È possibile che tanti italiani abbiano redditi segreti (il cosiddetto “lavoro nero”) oppure patrimoni da sfruttare (saremmo quasi tutti proprietari di una casa) oppure parenti pronti a soccorrerci (le mamme e i papà dei giovani disoccupati). Questo pensano in molti, magari senza dirlo. Però la Confindustria, i sindacati, il governo, l’opposizione non hanno l’aria di credere che il calo degli occupati sia indolore. La Confindustria prevede 600 mila persone a casa nel 2009, per colpa di crisi o chiusure di stabilimento. Il numero aumenterà l’anno successivo e generalmente l’economia andrà peggio: -0,5% il calo del Pil a fine 2008, -1,3% nel 2009, finalmente una piccola ripresa (+0,7%) nel 2010. Non ci si può consolare con l’inflazione: calerà fino all’1,7%, soprattutto per la crisi della domanda e cioè per il fatto che le famiglie saranno molto poco disposte a spendere. La Confindustria prevede che nel 2008 i consumi risulteranno calati dello 0,5 (nel 2007 crebbero, rispetto al 2006, dell’1,4%).
• Lei più di una volta ha detto che la crescita infinita è assurda.
Sì, ma per governare una non-crescita o una decrescita bisognerebbe organizzare diversamente il modo di vivere di tutti quanti. Ci vorrebbero, per esempio, una classe politica forte, autorevole e con le idee chiare, coesione sociale, nessuna delinquenza. La frenata allo sviluppo piomba invece su un Paese che non sa bene dove andare, governato fiaccamente – ad onta dei proclami –, attraversato da lotte intestine di ogni genere, dominato dalla malavita organizzata che resta sempre la prima industria e che non avrà tutti questi disoccupati o cassintegrati.
• Ho letto che di cassintegrati ce n’è un bel po’ già ora.
Duecentomila solo tra i metalmeccanici. Non sono cifre scientifiche ed è possibile che siano anche di più. Non si sa bene neanche quanti siano esattamente i cassintegrati Fiat, molti dei quali dovranno starsene a casa un mese. L’azienda dice 48 mila, il sindacato 59 mila. Il numero 200 mila per i soli metalmeccanici è un’estrapolazione dai 50 mila Fiat (cifra tonda e media tra le due versioni). Cioè: se i cassintegrati Fiat sono 50 mila, gli altri non possono essere meno di 200 mila. Si ragiona sull’indotto, cioè su quella miriade di aziende che vivono delle cose che vendono alla Fiat. Nella sola Torino ce ne sono 600. Giorgio Airaudo, segretario generale della Fiom torinese, dice che gli imprenditori sostengono di aver perso negli ultimi tre mesi dal 30 al 60% del fatturato, «sono caduti in fondo al pozzo e non ne vedono il fondo».
• E fuori dal comparto metalmeccanico?
Non si sa. E soprattutto non sappiamo che cosa succede tra quella massa di lavoratori che o è precaria o ha contratti che non prevedono la cassa integrazione…
• Ma che cos’è la cassa integrazione?
E’ un fondo che serve a soccorrere lavoratori e imprese in difficoltà, alimentato da un contributo del 4,5% versato dalle imprese su ogni busta paga e dallo 0,6% pagato dal lavoratore. Quando si proclama lo stato di crisi, i lavoratori smettono di lavorare e ricevono un assegno pari all’80 per cento dello stipendio per un periodo che può arrivare fino a due anni. Questa è la cassa integrazione. Come al solito, gliela sto raccontando molto schematicamente.
• E i soldi del fondo saranno sufficienti a soccorrere tutti i lavoratori che si troveranno in difficoltà?
Si sa già che non saranno sufficienti. Come le dicevo, i problemi sono tre: primo, la grande massa dei precari che non ha nessun tipo di ammortizzatore sociale, a cui il contratto non sarà rinnovato e che andranno a casa senza aver diritto a nulla. Secondo, quei contratti che non prevedono la cassa integrazione. Anche in questo tipo di rapporti di lavoro, se l’azienda chiude il lavoratore resta senza protezione. Infine, i soldi in cassa: si sa già che non basteranno a fronteggiare un periodo di difficoltà così eccezionali come quelle che ci aspettano. Ieri Tremonti e il suo ministro ombra del Pd, Bersani, si sono incontrati e hanno concordato che questi fondi, già aumentati una prima volta, vanno ulteriormente incrementati. Oggi il fondo per gli ammortizzatori sociali è di un miliardo. Potrebbe diventare di due. Tenga conto che la perdita del posto di lavoro e la caduta dei consumi e dei prezzi deprime il Pil al punto che, per restare nei parametri di Maastricht, bisognerà anche tagliare i costi, cioè le spese dello Stato. L’aiuto pubblico, implorato da tutti, non sarà per niente facile. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 17/12/2008]
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