Paola Mariano, Tuttoscienze 17/12/2008, pagina 23, 17 dicembre 2008
Tuttoscienze, mercoledì 17 dicembre 2008 Pettegole sono le lingue dalla notte dei tempi, che si sparli dei compagni della tribù o si chiacchieri sulla star del momento: il «gossip» è parte di noi e, forse, è uno dei motori che hanno hanno fatto evolvere il cervello
Tuttoscienze, mercoledì 17 dicembre 2008 Pettegole sono le lingue dalla notte dei tempi, che si sparli dei compagni della tribù o si chiacchieri sulla star del momento: il «gossip» è parte di noi e, forse, è uno dei motori che hanno hanno fatto evolvere il cervello. Se i maschi hanno sempre potuto contare sui muscoli, le femmine hanno risposto con i primi gruppi sociali, basati sulla cooperazione e, soprattutto, su forme di comunicazione molto intense. Il linguaggio - sostiene Nicole Hess della University of California at Santa Barbara - è nato come forma di difesa intelligente contro la forza bruta, come il gossip, appunto: è stata l’arma per creare o distruggere lo status degli individui, forgiando forme di potere continuamente variabili. E’ un principio che non abbiamo più dimenticato. «Sono coinvolti due aspetti-chiave della psiche - sottolinea Massimo Di Giannantonio, psicologo dell’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti -: autostima e narcisismo. Dire male dell’altro non è che un modo indiretto per dire bene di sé». Ed è per questo che l’oggetto preferito del gossip sono i coetanei dello stesso sesso, come dimostrano gli studi dell’antropologo Jerome Barkow della Dalhousie University in Canada. L’ha spiegato sul «Journal of Applied Social Psychology»: dopo aver fornito a un campione di individui notizie su una serie di persone a loro sconosciute, ha fatto una serie di domande-trabocchetto. emerso che adoriamo spettegolare su individui simili a noi e che gli argomenti preferiti sono quelli più utili alla nostra ascesa sociale. In realtà, però, non è solo una questione di debolezza o mediocrità. Secondo l’analisi presentata su «Personal Relationships» da Jennifer Bosson dell’Università di Tampa, Florida, malignare aiuta a stringere rapporti con gli sconosciuti e rinsalda quelli con gli amici. L’ha scoperto mostrando a un gruppo di persone molto eterogenee alcuni video di conversazioni a due: gli estranei solidarizzano più facilmente quando si tratta di dare un giudizio negativo sui protagonisti dei film. Ed ecco che, così, si torna all’alba del genere umano: il gossip - sostiene Roy Baumeister del dipartimento di psicologia della Florida State University - aiuta a tracciare i confini tra chi fa parte di un clan e gli «outsiders» e a comprendere le regole di convivenza. Se molte teorie confermano che il pettegolezzo è donna, in realtà - aggiunge Di Giannantonio - l’evoluzione ha condotto a un «pareggio». Lei e lui lo praticano in uguale misura, sebbene su argomenti diversi: le donne si concentrano su sesso, corpo e abbigliamento, gli uomini prediligono denaro e lavoro. Di certo, a scatenare l’attenzione nel villaggio globale del XXI secolo sono sempre più le celebrità, da quelle televisive di piccolo calibro, fino ai divi veri, da Hollywood al business e ai super-ricchi. Uno studio di Eta Meta Research, realizzato da psicologi e psicopedagogisti, rivela che tv e new media non possono farne meno: ogni 11 minuti va in onda un pettegolezzo, ogni 15 un presunto «scoop» amoroso, ogni 23 uno «scandalo» su un personaggio pubblico. I famosi, così, fanno scattare un meccanismo complesso: se ne parla tanto per un profondo desiderio di identificarsi in loro e, dato che il sogno è destinato a restare irrealizzabile, si finisce per parlarne male. Osservando un gruppo di adolescenti, Charlotte De Backer dell’Università di Leicester, Gran Bretagna, ha dimostrato che per i più giovani il gossip è una «fabbrica» di modelli di riferimento, dal linguaggio al modo di vestirsi, e diventa un modello di apprendimento. Il pettegolezzo, quindi, non solo è un’arma, ma è potentissima: spesso ha più presa della realtà dei fatti. Lo dimostra un test sulla rivista «Pnas» di Ralf Sommerfeld del Max Planck Institute di Plon, in Germania. Messe in condizione di formarsi una propria opinione su un certo individuo, le sue «cavie» hanno dimostrato di credere più volentieri alle maldicenze che ai loro stessi occhi. Se così è, il gossip dovrebbe farci anche spaventarci. E invece no. Tra «Facebook», «YouTube», reality show e carta stampata, non sembriamo avere paura di metterci in mostra e rischiare di trasformarci nell’oggetto della chiacchiera universale. Perduti i valori condivisi, stiamo regredendo alla condizione primitiva: le società impersonali e ier-tecnologiche sembrano fatte apposta per il gossip. Come se vivessimo ancora ai bordi di una caverna. Paola Mariano