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 2008  dicembre 17 Mercoledì calendario

Bernanke regala il denaro e prova a scuotere l’America di MASSIMO GAGGI DAL CORRIERE DELLA SERA DEL 17/12/2008 «Hanno sparato tutti i proiettili del loro cannone in una volta sola», commenta Alan Blinder, economista democratico, compagno di accademia di Ben Bernanke a Princeton ed ex membro del Consiglio dei governatori della Banca centrale statunitense

Bernanke regala il denaro e prova a scuotere l’America di MASSIMO GAGGI DAL CORRIERE DELLA SERA DEL 17/12/2008 «Hanno sparato tutti i proiettili del loro cannone in una volta sola», commenta Alan Blinder, economista democratico, compagno di accademia di Ben Bernanke a Princeton ed ex membro del Consiglio dei governatori della Banca centrale statunitense. Sono trascorsi pochi momenti dopo la decisione della Federal Reserve di chiudere il 2008, l’"anno orribile" della finanza Usa, con una raffica di misure senza precedenti: riduzione di tre quarti di punto (dall’1 allo 0,25 per cento, con un margine di flessibilità fino a zero) del tasso-base ("federal funds") applicato ai finanziamenti a breve scadenza della Fed alle banche; spostamento dell’attenzione dalla politica dei tassi (che ha, ormai, un’efficacia limitata) al cosiddetto "quantitative easing", cioè un fortissimo aumento della liquidità trasmessa al sistema economico basato sull’allargamento della base monetaria ottenuto stampando moneta e su massicci acquisiti di titoli a lungo termine del Tesoro e di obbligazioni basate su pacchetti di mutui-casa per cercare di ridare fiato al settore immobiliare; uso di un ventaglio sempre più ampio di strumenti innovativi per far affluire prestiti a breve al sistema bancario. Mai, nemmeno in tempo di guerra, la Fed aveva portato i suoi tassi praticamente a zero: un costo del denaro ormai ampiamente negativo, se teniamo conto dell’inflazione. Mai aveva adottato simultaneamente tante misure così impegnative per il suo bilancio. Del resto il momento è di assoluta emergenza e gli strumenti tradizionali della politica monetaria sono ormai praticamente arrivati a fine corsa, come ha fatto notare ieri anche Barack Obama, senza aver dato i risultati attesi. Non resta, quindi, che passare alle "cure da cavallo": denaro praticamente "regalato"; Fed che in pochi mesi ha triplicato le dimensioni del suo bilancio per cercare di sostenere l’economia e che si si è praticamente sostituita alle banche ordinarie, semiparalizzate dalla grave crisi finanziaria. Una banca centrale che, da creditore di "ultima istanza", diventa il creditore di prima e unica istanza e che accetta di essere pagato dagli istituti del mercato coi titoli "tossici" che hanno accumulato in portafoglio, rappresenta un’assoluta anoma-lìa, un evento senza precedenti nella storia delle istituzioni monetarie. Ma, come detto, questi sono tempi senza precedenti e la Fed ha deciso di rischiare il tutto per tutto: inondare il mercato di denaro a basso costo in genere è il modo giusto per provocare una fiammata inflazionista, ma stavolta il pericolo è quello opposto, la deflazione e quindi, almeno nel breve periodo, Bernanke ritiene che questo intervento sia giustificato. Certo, esponendosi in modo così estremo la Fed mette in pericolo la sua stessa stabilità e favorisce lo sviluppo di un’altra bolla, quella del debito pubblico del Tesoro. Ma, anche qui, i banchieri centrali americani ritengono di non avere più alternative. E infatti, nonostante, le divergenze che erano emerse nei mesi scorsi su alcune scelte di fondo dell’Istituto, ieri i governatori del Fomc, il comitato che guida la politica monetaria Usa, ieri hanno votato all’unanimità le misure draconiane adottate dopo un "conclave" durato due giorni. La Fed ha addirittura messo nero su bianco che, davanti all’indebolimento dell’economia e alla prospettiva di una recessione prolungata, i "governatori" intendono perseguire a lungo l’attuale politica di sostanziale azzeramento del costo del denaro per il sistema bancario. Ben Bernanke, che da economista ha lungamente studiato gli errori commessi dalle autorità monetarie Usa all’epoca della "Grande Depressione" e che una decina d’anni fa consigliò di curare la lunga stagnazione giapponese con una ricetta analoga a quella che sta applicando oggi negli Usa, sta praticamente applicando una logica espansiva "rooseveltiana" alla politica monetaria, in attesa del nuovo "New Deal" di Obama che si insedierà alla Casa Bianca solo alla fine di gennaio. I maligni sostegno che, col suo attivismo, Bernanke stia cercano di guadagnare credito col nuovo presidente, visibilmente deluso dai scarsi risultati fin qui ottenuti dalla cura della Fed e del Tesoro di Henry Paulson. Ma è un sospetto ingeneroso, visto che l’ex professore di Princeton ha dedicato gran parte della sua vita accademica a studiare le conseguenze negative dello scarso attivismo delle autorità monetarie Usa nella crisi degli anni ’30 del secolo scorso. Seguire la rotta opposta è, quindi, per lui un obbligo. Il problema è quello di stabilire fino a che punto spingersi per non mettere a repentaglio la stessa Fed. Per ora Bernanke è alle prese con soggetti privati che, impauriti dalla crisi, neutralizzano la spinta dei poteri pubblici in direzione di una riattivazione del credito. Per questo è costretto a spingersi sempre più in là: a immettere più moneta per compensare la riduzione della velocità di circolazione di quella esistente. Un equilibrio delicato che diventerà esplosivo quando sui mercati tornerà un buon livello di fiducia.