La Stampa 17/12/2008, pagina 2-3., 17 dicembre 2008
Un comitato d’affari «la cui ragione sociale è quella di incidere, condizionare e intervenire illecitamente su tutti gli appalti e, più in generale, su ogni business legato allo sfruttamento delle risorse petrolifere» della Total Italia a Potenza; una sorta di «cupola» costituita «dal management del colosso petrolifero, da imprenditori, da pubblici ufficiali, da politici e faccendieri»
Un comitato d’affari «la cui ragione sociale è quella di incidere, condizionare e intervenire illecitamente su tutti gli appalti e, più in generale, su ogni business legato allo sfruttamento delle risorse petrolifere» della Total Italia a Potenza; una sorta di «cupola» costituita «dal management del colosso petrolifero, da imprenditori, da pubblici ufficiali, da politici e faccendieri». Con queste accuse, ieri, sono scattate le manette ai polsi di Lionel Levha e Jean Paul Juguet, rispettivamente ad e responsabile del Progetto «TempaRossa» (uno dei più grandi giacimenti della Lucania), del responsabile dell’ufficio di rappresentanza dell’azienda a Potenza Roberto Pasi e di un suo collaboratore, Roberto Francini. Sotto accusa anche il deputato del Pd Salvatore Margiotta, vicepresidente della commissione Ambiente di Montecitorio, per il quale il gip potentino Rocco Pavese ha disposto gli arresti domiciliari: il provvedimento potrà essere eseguito solo se la Camera darà l’autorizzazione. Per l’accusa, a Margiotta fu promessa una tangente da 200 mila euro affinché favorisse la «cordata» di imprenditori interessati agli appalti. Arresti anche per Ignazio Giovanni Tornetta, sindaco di Gorgoglione, nel cui territorio sono stati realizzati gli impianti Total. Perquisiti inoltre uffici e abitazione del presidente della Provincia di Matera, Carmine Nigro, Udeur. Ampio spazio è inoltre dedicato, nelle 600 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, al presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, a sua volta indagato: con il suo entourage avrebbe inizialmente favorito gli imprenditori, ma poi avrebbe «cambiato rotta» perché venuto al corrente dell’indagine in corso. Numerosi gli imprenditori e i faccendieri arrestati. Uno su tutti: Francesco Rocco Ferrara, che secondo l’accusa si sarebbe aggiudicato gli appalti pilotati. Perché proprio di appalti si parla nell’inchiesta condotta dal pm Henry John Woodcock prima che si trasferisse a Napoli. Tre in particolare: il primo per la realizzazione del Centro Oli, il secondo per la fornitura dei fanghi di perforazione, il terzo per il trattamento e lo smaltimento di quei fanghi. Beneficiario degli appalti: Ferrara, che in cambio avrebbe pagato una maxi-tangente da 15 milioni di euro sotto forma di un contratto quinquennale «in esclusiva a favore della Total», per l’acquisto di oli lubrificanti e carburanti da parte delle sue aziende. Al centro dell’inchiesta, poi, c’è anche una serie di acquisti «a prezzi stracciati» da parte della Total di suoli destinati alla realizzazione degli impianti. «Veri e propri taglieggiamenti», sostengono gli inquirenti. E veniamo ai politici. Secondo il gip che ha accolto le tesi del giudice Woodcock, i referenti del «comitato d’affari» erano quattro: Margiotta (marito dell’ex capo della squadra mobile di Potenza Luisa Fasano, coinvolta nell’inchiesta «Toghe lucane»), De Filippo, Nigro e Tornetta. Il primo, accusato come gli altri di associazione a delinquere, aveva «il compito fondamentale di favorire contatti e rapporti privilegiati fra Ferrara e i dirigenti della Total Italia». La sua sorte, ora, dipende dalla Giunta per le autorizzazioni della Camera. Ma forti perplessità sono già espresse da un componente della giunta, Nino Lo Presti del Pdl: «Abbiamo intenzione di chiedere altre carte ai magistrati di Potenza. Forse di sono dimenticati di mandarcene alcune perché, a una prima e superficiale lettura dell’ordinanza, non mi sembra si precisi quale ruolo attivo abbia avuto Margiotta nella eventuale alterazione degli appalti. Non si fa nessuna specifica accusa». L’interessato, invece, si proclama innocente: ieri si è autospeso dal Pd annunciando di volersi difendere in aula. Fulvio Milone **** Sembra il Libro nero dell’amministrazione comunale di Pescara. L’atto della magistratura che ha portato agli arresti domiciliari il sindaco Luciano D’Alfonso, uomo forte della Margherita, attuale segretario regionale del partito democratico, giovanile, efficientista, uno che è nato alla politica ai tempi di Remo Gaspari ma ora seguiva Franco Marini, non lascia respiro. Avvincente, a suo modo. Le delibere comunali, mirate a favorire questo o quell’imprenditore, sono incrociate con regalie, assegni, favori. Complessivamente è accusato di avere intascato 200 mila euro al nero. Viene fuori soprattutto la storia di un politico in carriera che non si fa mancare nulla, che sia un autista, oppure un cerimoniere, una sontuosa associazione con cui fare bella figura al paese, o anche viaggi a Venezia, a New York, a Malta, a Zagabria, in Serbia, a seguire le regate in Spagna. Senza mai pagare di tasca sua, per carità. I voli li paga AirOne Un rapporto che viene da lontano, quello con Carlo Toto, il patron della compagnia aerea. Secondo i giudici, già dieci anni fa, quando l’arrestato era presidente della provincia e Toto «soltanto» un costruttore, ci fu qualche affare sospetto. Per favorire il tracciato di una strada, fu modificato il perimetro di una riserva naturale perché dava fastidio. «Con Toto ci si può parlare... E’ un’azienda vicina al nostro gruppo», andava dicendo D’Alfonso ai suoi collaboratori. Il rapporto è proseguito fino a ieri, quando la Toto Costruzioni si è aggiudicato l’appalto per la trasformazione delle aree che si liberavano dietro la vecchia stazione ferroviaria, nel centro di Pescara. Appalto lucrosissimo, sostengono i magistrati, perché Toto stava per impossessarsi di 4000 posti-auto. Così emergeva «da un’interpretazione di favore del bando, che vuole consegnare la città a un privato». In cambio, il signor Toto avrebbe pagato per tre anni l’autista personale a D’Alfonso più le spese per un’Alfa di rappresentanza. E poi il cassiere di Toto pagava le cene elettorali (10 mila euro al ristorante Sea River). Infine qualche sfizio: una vacanza a Malta e un’altra a Venezia, per la Pasqua 2006, su un jet executive della società. Motoscafi pagati per tutti. In cambio, D’Alfonso si sdebitava come poteva. Curiose le lettere trovate sul computer del suo addetto stampa: la bozza di una lettera, a firma Carlo Toto, da inviare a Silvio Berlusconi per ringraziarlo del suo aiuto nella vicenda AirOne. C’è anche una lettera per Vittorio Prodi, predisposta dal suo capogabinetto: caldeggia un intervento a favore della Toto Spa. «Sembra quasi che i Toto e D’Alfonso agiscano come un’unica entità politico-imprenditoriale», scrive il magistrato. Fa sapere il legale dell’imprenditore: «Sempre operato in totale trasparenza e nel pieno rispetto delle leggi». I buoni carburante Un sindaco con grandi ambizioni aveva bisogno di viaggiare spesso. Ma la benzina, si sa, costa. Qualche rimborso per le spese di carburante l’ha pagato il signor Toto. Un buono-benzina della società Siset costruzioni, specialista in bitumazioni, la polizia l’ha trovato a casa del sindaco durante una perquisizione. «Conferma ulteriormente l’abitualità dei rapporti». Risultano diverse elargizioni della società a enti ecclesiastici di Manoppello, il paese natale di D’Alfonso. Ha raccontato l’imprenditore Enzo Perilli: «Ha contattato aziende per farmi ottenere incarichi». Il caro estinto Massimo De Cesaris è l’imprenditore arrestato assieme a Luciano D’Alfonso. Si era aggiudicato un mega-appalto per i servizi cimiteriali. L’unico altro concorrente, misteriosamente, si ritira. Viene poi concordato un piano tariffario. Alla città si garantisce che si risparmierà, invece tariffe aumenteranno del 400%. De Cesaris paga sostanziose fatture fantasma a una società di pubbliche relazioni indicatagli da D’Alfonso. Stacca qualche assegno. E ci scappa pure una ristrutturazione gratuita per l’abitazione del sindaco a Pescara e per la sede della Margherita a Manoppello «per un valore di decine di migliaia di euro». Le sedie della Convention Prodi Partendo da un documento sequestrato a Guido Dezio, il factotum di D’Alfonso, già tesoriere della Margherita abruzzese, i magistrati sono arrivati fino a una tipografia dove si stampavano i suoi manifesti (tanto poi pagavano le casse pubbliche). Racconta la signora Ivana D’Angelo: «Committevano lavori tanto per il Comune quanto per il partito politico cui appartenevano». Storica la frase del sindaco, al tipografo che si lamentava per i pagamenti che tardavano: «Ma non pensare sempre ai soldi, pensa a lavorare!». Un’altra società fornisce gazebo. Di nuovo, paga il Comune. «Verosimilmente - scrive il gip Luca De Ninnis - le sedie e i tavoli servirono per la Convention Prodi che si tenne a Pescara il 4 marzo 2006». Stesso giochino per l’amplificazione. «Se non ti allinei, sei finito» Le manovre estorsive del sindaco erano arrivate fin dietro la porta della procura. L’ingegner De Donatis nel 2006 curava la manutenzione del palazzo di Giustizia a spese del Comune. Gli chiedono di manipolare la gara per il bar interno. Lui si rifiuta. Ed è Dezio ad affrontarlo. «Luciano ha detto di dirti che se non ti allinei alle nostre disposizioni non lavorerai più con l’amministrazione». Puntualmente, gli vengono revocati tutti gli incarichi fiduciari. Il carica-batterie A D’Alfonso serviva un cerimoniere personale? Il signor Gianfranco Giancaterino, esperto in materia, viene pagato dal Comune, ma «ha dichiarato di non aver mai svolto le prestazioni indicate». Il suo autista comprava un caricabatteria per il cellulare (costo 29,80 euro)? Il sindaco lo metteva in conto al Comune come spesa personale. Un viaggio a Milano con la moglie per aiutarla nel suo lavoro di negoziante? Ecco un biglietto da 321 euro messo in conto all’amministrazione. Francesco Grignetti