Mattia Feltri, La Stampa 17/12/2008, pagina 5, 17 dicembre 2008
La Stampa, mercoledì 17 dicembre 2008 La questione, dice Mariotto Segni, «è la crisi di sistema iniziata nel 1990 e non ancora risolta
La Stampa, mercoledì 17 dicembre 2008 La questione, dice Mariotto Segni, «è la crisi di sistema iniziata nel 1990 e non ancora risolta. In questa crisi, Antonio Di Pietro è l’alieno». L’ultimo ufo della politica italiana non ha soltanto il 15 per cento alle amministrative abruzzesi, ma soprattutto è prossimo al dieci in quasi tutte le indagini demoscopiche. L’ufo, che nel 2001 decise di correre da solo e mancò lo sbarramento al 4 per cento, e che in Molise perse nel collegio uninominale, è ripiombato nelle nostre vite con i medesimi stendardi di quindici anni fa, quando dalla procura di Milano contribuì muscolarmente alla fine della Prima repubblica. Oggi ci si chiede chi lo voti. I borghesi benpensanti ebbri della faldonistica di Marco Travaglio? Gli antagonisti che non si rassegnano alla morte della sinistra e si aggrappano al professor Pancho Pardi e a MicroMega? I giovani blogger dell’antipolitica traslocati dalla pizza virtuale a quella fisica da Beppe Grillo? Le casalinghe attratte dal ruvido machismo dell’ex pm? «No, le casalinghe no: non ho studiato quelle abruzzesi, ma tutte le altre sono berlusconiane», dice Renato Mannheimer, e condivide Luigi Crespi: «Sono terreno assoluto del Cavaliere». Entrambi, però, spiegano che gli elettori sono trasversali, alimentando così il dibattito sull’estrazione dell’Italia dei Valori: destra, sinistra o centro? Un accurato lavoro di Pino Pisicchio (deputato dell’Idv), che sarà presentato proprio oggi («Italia dei valori - Il post partito», Rubettino editore) rileva che il 57 per cento della classe dirigente dipietrista proviene dalla Dc, meno del dieci per cento dal Pci, e circa il 25 per cento è neofita o ha battuto l’associazionismo; il 79 per cento, comunque, ha lavorato nelle periferie dell’impero, nei consigli comunali, nelle piccole città; e il 96 per cento dice di sé: «Siamo il centro». Putroppo non esistono studi sull’elettorato, ma Mannheimer azzarda: «Sono antiberlusconiani, più poveri che ricchi, più giovani che vecchi, hanno bisogno, sono animati dalla protesta». «Buona parte del voto dipietrista è un dispetto a Walter Veltroni», aggiunge Crespi. E’ difficile delimitare il fenomeno. Certo, Di Pietro è uno che col web ci sa fare. Da magistrato introdusse l’informatica nel processo penale; oggi usa la rete meglio di Veltroni - circoscritto al gioco di società - e di tanti alla Enrico Letta, appagati da qualche incursione su You.tube. Luca Sofri, blogger pionieristico e membro del direttivo Pd, non la mette giù dura: «So che ha un blog e so che lo usa. Il suo bicchiere mezzo pieno è già molto rispetto al nulla di tutti gli altri». Il sito del partito e il blog di Di Pietro sono frequentati (180 mila contatti ognuno in tempi normali) e giocano a incrociarsi con Grillo e Travaglio, con grande soddisfazione degli internauti giovani e nervosi. Filippo Rossi, uomo di destra, coordinatore editoriale della Fondazione FareFuturo, va oltre: «In internet si raccolgono gli odiatori della casta, gli angosciati della sicurezza, ma quelli stanno ovunque. Se gli analisti frequentassero le trattorie più dei palazzi, capirebbero che Di Pietro, come Bossi, è un propagandista e non un decisore. Fa di per sé un lavoro non politico: rappresenta una parte, una paura, una rabbia, che appartengono a tutti ma non possono diventare programma. Di Pietro è solo poliziottesco, scalda come l’ispettore Callaghan». E qui si apre il tema toccato da Segni: l’alieno. La stranezza è che Di Pietro fa il paladino dell’antisistema per conquistare il sistema. Come Bossi, appunto. E come Berlusconi. «Tutti e tre - dice Massimo Fini - hanno il coraggio dell’esplicito. Ma Di Pietro è un bene perché ricorda che la questione penale, più che quella morale, riguarda tutti i partiti». Mentre Berlusconi nutre il sogno, lui nutre la furia. E, secondo Segni, ha riempito un vuoto: «Quello determinato da chi sostiene che l’anomalia del berlusconismo sia ormai accettabile». Un sondaggio dell’Swg calcola che un elettore su cinque sta spostandosi dal Pd all’Idv. «Berlusconi ha spaccato in due il paese, e Veltroni vuole tenere il piede in entrambe le scarpe, vuole cercare l’intesa con Forza Italia e carezzare l’antiberlusconismo attraverso l’alleanza con Di Pietro. Una follia», dice Massimo Fini. Dà l’idea, ed è anche il giudizio di Segni, di riprodurre gli schemi di venti anni fa, quando la schermaglia era di facciata e poi il sistema era tutelato e imbrigliato, come oggi attraverso le liste bloccate. Ed è forse qui il vero punto di contatto fra la Lega e Di Pietro: le ragioni economiche e territoriali del Carroccio concorsero a sollevare quelle morali e di rappresentanza ancora impugnate da Di Pietro, e se ne abbia titolarità è tutt’altro discorso. «Di Pietro ha un merito: è la dimostrazione che le categorie novecentesche di destra e sinistra saranno accantonate per cento anni», aggiunge Filippo Rossi. E infatti, mentre Massimo Fini vede elementi di destra nel taglio da uomo d’ordine del leader, uno come Pancho Pardi, ex di Potop, girotondino, non si scompone: «Antonio ha una provenienza di destra, una classe politica centrista, ma il motivo per cui nell’Idv mi ci trovo è che ha colto il respiro, proveniente dalla società civile, che il conflitto di interessi e l’indole padronale del premier sono faccende attuali. Magari non è neanche un tema di sinistra, ma come tale appare». E se nel frattempo Di Pietro si è armato raccattando elementi di cultura cattolica del solidarsimo familiare, o elementi di cultura socialista della giustizia sociale, probabilmente l’operazione aiuta. Ma al fondo rimane - squassante e redditizio - il dubbio di Pardi: «Mi chiedono di chi si libererebbe più volentieri Veltroni, se di Berlusconi o di Di Pietro. Continuo a sperare che salverebbe Tonino, anche se...». Mattia Feltri