Giordano Stabile e Jacopo Iacoboni per la Stampa di mercoledì 17/12/2008, 17 dicembre 2008
Offerte milionarie per le scarpe contro Bush CORRIERE DELLA SERA DI MERCOLEDì 17/12/2008 E’ atteso oggi in tribunale Muntadar Al-Zeidi, il giornalista iracheno 28enne che domenica ha tirato le scarpe contro George Bush
Offerte milionarie per le scarpe contro Bush CORRIERE DELLA SERA DI MERCOLEDì 17/12/2008 E’ atteso oggi in tribunale Muntadar Al-Zeidi, il giornalista iracheno 28enne che domenica ha tirato le scarpe contro George Bush. Un giudice dirà se deve essere processato per aggressione. Il fratello Dargham dice che Muntadar è stato picchiato: «Gli hanno rotto un braccio e alcune costole». Un portavoce militare ha smentito maltrattamenti. Secondo la famiglia il giovane sarebbe all’ospedale Usa nella Green Zone. Per la sua liberazione si sono svolte nuove manifestazioni di piazza. L’Unione Giornalisti chiede clemenza, l’Associazione Avvocati invoca la libertà di critica. «Le scarpe del reato», attualmente sotto confisca, sono diventate oggetto di culto. Secondo i giornali di Bagdad l’ex allenatore della nazionale di calcio avrebbe offerto 100 mila dollari per averle, mentre un ricco saudita sarebbe pronto a sborsare 10 milioni. Alla vigilia della guerra nel 2003 la Cia aveva pronte migliaia di bandierine a stelle e strisce da distribuire agli iracheni. Sei anni dopo, gli iracheni preferiscono sventolare scarpe verso gli americani. E su Internet ( www.sockandawe.com) il blitz dello scarparo è diventato un gioco cliccatissimo. GIORDANO STABILE PER LA STAMPA DI MERCOLEDì 17 DICEMBRE 2008 Un braccio rotto, diverse costole fratturate, la convalida dell’arresto, un altro centinaio di avvocati del mondo arabo disposti a difenderlo «a titolo gratuito» e un posto da corrispondente per un tivù libanese, «con stipendio a decorrere dall’istante in cui ha lanciato la prima scarpa contro il presidente degli Stati Uniti d’America, George W Bush». Il bollettino della giornata di ieri di Muntazer al Zaidi è più ricco di chiari che di scuri. Preoccupano, certo, le sue condizioni fisiche: il fratello Dargham, intervistato dalla Bbc, ha parlato anche di «una lesione a un occhio e un’emorragia interna». La situazione giudiziaria è invece stabile: Abd al Karim Khalaf, portavoce del ministero degli Interni, ha detto che «l’arresto è stato convalidato. L’inchiesta fa il suo corso e il giornalista sarà processato il prima possibile». Il ventottenne Al Zaidi si è presentato ieri davanti all’Alta corte di giustizia irachena per l’udienza preliminare rivendicando orgogliosamente il suo «gesto onorevole: entrerò nella storia». Rischia sette anni, ma quello che conta è la straordinaria sollevazione dell’opinione pubblica araba, e mondiale. Si contano a centinaia di migliaia le pagine online con il suo nome. Hamas ha promesso di liberarlo, «con ogni mezzo». Il ministero degli Interni iracheno, sempre per bocca di Khalaf, ha smentito sdegnosamente che Al Zaidi sia stato seviziato dai poliziotti che l’hanno arrestato e che sia detenuto nelle segrete dell’inacessibile complesso governativo della Zona Verde, ex palazzo di Saddam Hussein. Dourgham ha però insistito: «Mio fratello è stato torturato». Secondo sue fonti riservate, Muntazer è rinchiuso in una cella di massima sicurezza all’interno della Zona Verde: « guardato vista - ha precisato - da agenti comandati da Muaffaq al Roubaie», potente consigliere per la Sicurezza Nazionale del premier Nouri al Maliki, pure lui sfiorato dalle calzature numero 44 di Al Zaidi. Anche secondo Nur ad Din al Hayyali, deputato sunnita e avvocato, Muntazer è rinchiuso nel palazzo della presidenza del consiglio iracheno. Al Hayyali è tra i duecento avvocati che finora si sono resi disponibili a difendere al Zaidi senza compenso. Ma con un prevedibile bel ritorno di immagine: il processo promette di essere un ribalta mondiale. Potrebbe toccare persino a Khalil al-Dulaymi, ex avvocato di Saddam Hussein, che ha già abbozzato una linea difensiva: «Il gesto è da ascrivere tra gli atti di resistenza all’occupazione illegale del Paese da parte degli americani, quindi perfettamente legittimo». La Casa Bianca ha ribadito che giudicare il giornalista-lanciatore «è prerogativa della giustizia irachena». L’America non c’entra, il presidente ha subito sdrammatizzato anche se la sua portavoce, Dana Perino, si è presentata al lavoro a Washington con un occhio pesto: nella colluttazione tra al Zaidi e le guardie irachene è stata colpita da un microfono. La voglia comunque è di chiudere l’incidente prima che diventi il detonatore di una incontrollabile fiammata di nazionalismo arabo. I primi sintomi ci sono. Secondo il portavoce di Hamas Fawzi Barhum, «il gesto di Al Zaidi racchiude in sé il rifiuto degli arabi e dei musulmani nei confronti degli Stati Uniti e di Israele». Hamas si prodigherà dunque, ha aggiunto, per ottenere la liberazione del giornalista. Più concreta la tv privata libanese New Tv, che a Muntazer ha offerto un lavoro «da corrispondente». L’emittente, conosciuta per la sua tendenza al sensazionalismo, ha assicurato che «Zaidi riceverà lo stipendio a partire dal momento in cui ha lanciato le sue scarpe». L’ammontare non è stato reso noto. ***** JACOPO IACOBONI PER LA STAMPA DI MERCOLEDì 17 DICEMBRE 2008 E’ nata infine la politica della scarpa(ta). Dove si lancia, ma si può precipitare. Tutti. Il gesto rituale di Muntazer Al Zaidi sta trovando così tanti proseliti italiani, anche se per ora nella dimensione spensierata (e senza rischio) della più pura immaterialità: organizzatori di proteste politiche, patiti di Internet, satiri di professione, impiegati annoiati e Facebook addicted. Tutti a chiedersi: a chi, e quando, tireremo la nostra? A Chiaiano già ieri le hanno tirate addosso a un pupazzo che raffigurava Berlusconi. E in quella protesta anti-discarica c’era una curiosa saldatura tra un sindaco del Pd (Salvatore Perrotta, primo cittadino di Marano), un missionario radical (Alex Zanotelli), un dipietrista (Franco Barbato). Ma è la società intera a vagheggiare ormai la politica della scarpa. La satira prepara colpi. Racconta chi lavora alla redazione di «M», l’inserto satirico dell’Unità appena assorbito dentro la foliazione, che il prossimo numero «sarà centrato sulla scarpeide»; che tuttavia, nelle intenzioni del direttore Sergio Staino, potrebbe essere feroce contro Berlusconi, ma non tenera anche con Walter Veltroni, appena dipinto come Cappuccetto rosso. Il manifesto domani, alla presentazione di un numero speciale (quello di venerdì, che costerà 50 euro per finanziare il giornale in crisi) presenterà anche le ultime trovate dei satirici di prima, Vauro e Alessandro Robecchi. Sostiene Vauro che «altro che le scarpe di D’Alema, queste sì che sono scarpe», e ha inventato una vignetta con il neologismo «Bushoes». Robecchi ha lanciato uno dei tanti tam tam, «se non potete tirare le scarpe tirate le ciabatte»: «Anche Muntazer al Zaidi si è sbagliato, troppo alta la prima traiettoria, troppo liftata sulla sinistra la seconda, ma allo Yankee Stadium avrebbe fatto comunque bella figura». Non male però anche il neologismo sul Foglio: «shoe business». Ed è come se Muntazer ci avesse spinti tutti in un bizzarro Yankee Stadium, estasiati dalla possibilità del tiro al piccione senza pagare dazio. Su Internet il lancio delle scarpe è stato ritrasmesso su YouTube in più di 70 video, e ieri mattina era stato visto 600 mila volte. «Shock and Awe» è diventato «Sock (calzino) and Awe», un gioco virtuale. Blog pacati - quello di Sabelli Fioretti, non di Grillo - contenevano messaggi tipo «un grande, questo giornalista, un grandissimo, altro che gli incipriati e proni lacchè di casa nostra! Certo, sono soltanto scarpe, e ci dobbiamo accontentare. Anni fa ci dovemmo accontentare di un innocuo cavalletto fotografico. Vi ricordate il cric della mitica Fiat 600? I have a dream» (Fabio Righetti, Verona). Altri invocavano «chi è capace di farlo crei subito il "lanciatore di scarpe" fan club su Facebook». Piccola notizia: su Facebook il club è già nato. E non solo uno: tra i titoli più cliccati figurano cose come «Anche io avrei tirato le scarpe a Bush!!! E non solo», «Diamo il premio Nobel al giornalista che ha lanciato le scarpe a Bush», e via così... Ecco. Sarà poi difficile tornare alla misura. Quarantaquattro, era quella di Muntazer al Zaidi.