Maurizio Molinari, La Stampa 17/12/2008, pagina 15, 17 dicembre 2008
La Stampa, mercoledì 17 dicembre 2008 E’ lui l’esempio originale di una persona "No Drama"»: con queste parole Barack Obama ha presentato al pubblico Tom Daschle, neo-ministro della Sanità, al fine di mettere in risalto la caratteristica umana a cui tiene di più, saper controllare le proprie emozioni in situazioni di crisi
La Stampa, mercoledì 17 dicembre 2008 E’ lui l’esempio originale di una persona "No Drama"»: con queste parole Barack Obama ha presentato al pubblico Tom Daschle, neo-ministro della Sanità, al fine di mettere in risalto la caratteristica umana a cui tiene di più, saper controllare le proprie emozioni in situazioni di crisi. L’espressione è talmente diffusa da identificare non solo il presidente eletto, ma i suoi elettori e i suoi ministri. Se le magliette «No Drama Obama» sono le più vendute sul sito barackobama.com, per il magazine «New York» «No Drama» (Niente tragedie) è il «motto con cui Obama ha vinto la campagna elettorale», e la popolare trasmissione di satira tv «Saturday Night Life» ha intitolato proprio in questa maniera uno show dedicato alla nascente compagine governativa. Per il cliccatissimo sito Internet «Huffington Post» è il fatto di essere una «No Drama di vecchia data» che fa di Caroline Kennedy, figlia di John Fitzgerald, il candidato migliore al seggio senatoriale lasciato dal neo-segretario di Stato Hillary Clinton, che diede prova di saper evitare tragedie quando gestì in maniera glaciale il tradimento del marito Bill con la stagista Monica Lewinsky. Se «No Drama» è divenuto il motto della «Generation Obama» il merito è anzitutto di due persone. Innanzitutto Barack che seppe tenere i nervi a posto in due momenti roventi della campagna: a metà gennaio quando perse in New Hampshire subito dopo il trionfo iniziale in Iowa e tre mesi dopo, allorché gestì le dichiarazioni razziste anti-bianchi del reverendo nero Jeremiah Wright riuscendo a trasformare la questione razziale da svantaggio in vantaggio elettorale. Poi c’è David Plouffe, soprannominato «No Drama guy» dal guru elettorale David Axelrod - di cui è nota la flemma - per aver mantenuto i nervi saldi nel creare dal nulla e attraverso il web una macchina per raccogliere soldi e voti senza precedenti nella storia americane. Per avere un’idea del «No Drama» con cui Plouffe gestisce Obamaland dal quartier generale di Chicago basta pensare a cosa è avvenuto alle dozzine di consiglieri di Barack che lo avevano fedelmente affiancato durante due anni di campagna presidenziale: nella settimana seguente la vittoria hanno ricevuto una breve email in cui, dopo i ringraziamenti, si faceva sapere che d’ora in avanti ogni rapporto preesistente era «interrotto» e chiunque avesse voluto proporsi per incarichi nell’amministrazione avrebbe dovuto «mandare il proprio curriculum attraverso il sito Internet della transizione, Change.gov». In molti hanno reagito male e pensando di aver maturato crediti che non gli venivano riconosciuti hanno protestato, ma così facendo si sono autoeliminati perché hanno svelato di non essere «No Drama». Fra coloro che invece inviarono pedissequamente il curriculum via web c’è Arne Duncan, nominato ieri ministro dell’Educazione da Obama che ne ha lodato due doti: l’aver dimostrato «pragmatismo» gestendo l’istruzione giovanile di Chicago e l’essere «il miglior giocatore di pallacanestro mai diventato ministro in America» in ragione del passato come co-capitano della squadra di Harvard e da professionista in Australia. Il riferimento al basket non è casuale: per andare a canestro servono calma e precisione nel momento di maggiore tensione, fisica ed emotiva. D’altra parte Abramo Lincoln, il presidente a cui Obama più ama richiamarsi, seppe guidare un governo composto di ministri fra loro rivali grazie all’abilità nel rimanere calmo in momenti di crisi politica aggravati nientemeno che dalla Guerra Civile, come ricostruisce Doris Kearns Goodwin nel libro «Team of Rivals» che Barack ha confessato di tenere sul comodino. Il richiamo al «No Drama« di Lincoln per Axelrod, si spiega con le sfide terribili che Obama ha di fronte: la recessione e due guerre aperte. Per affrontarle e superarle con successo serviranno nervi molto saldi. Per il politologo Bill Schneider, volto di spicco della tv Cnn, dietro «No Drama Obama» c’è l’identità di un leader riassunta da «tre C» ovvero «casual, cool, connected» (casual, calmo, connesso elettronicamente) che rispondono ad altrettante caratteristiche che vuole avere chi lo vota. «Si tratta di un elettorato che ha le caratteristiche di movimento in quanto accomunato soprattutto da riconoscersi nella sua persona, in cosa è il leader» ha spiegato Schneider intervenendo a un convegno dell’Aspen tenutosi nell’ambasciata italiana a Washington. Sono state due dinastie regnanti sul punto di fondersi in una sola, i Kennedy e i Cuomo. Cattolici e democratici, sulle due sponde dell’immigrazione che è stata tanta parte dell’America del Nord-Est a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, gli irlandesi e gli italiani. Poi le strade delle due famiglie si sono bruscamente separate a colpi di carta bollata nel 2003, quando andò in pezzi il matrimonio tra Andrew, figlio del governatore di New York Mario, e Kerry, settima figlia di Robert fuggita con un uomo d’affari inglese amico dei figli di Lady Diana. E oggi, nella guerra per il posto che si libera in Senato grazie alla nomina di Hillary Clinton a segretario di Stato, i due clan schierano le loro migliori speranze: Caroline Kennedy, figlia fino a ieri schiva del presidente J.F. Kennedy, contro il procuratore generale dello Stato Andrew Cuomo, che ha preso il posto che era stato di Eliot Spitzer prima che quest’ultimo spiccasse il salto a governatore. E proprio David Paterson, l’oscuro vice subentrato nella carica di governatore dopo le dimissioni di Spitzer per lo scandalo dei suoi amori mercenari, sarà l’arbitro della sfida, perchè per legge sarà lui a nominare il successore della Clinton. Mentre le cronache per la successione di Obama a Chicago sono colorate dallo squallido mercato che coinvolge il governatore «venditore» Rod Blagojevic e personaggi locali, che al massimo sono parvenu amici di Obama, a New York la sfida è un affare altolocato, nell’Upper East Side dei figli d’arte. Lei, 51 anni, nipote del senatore Ted che l’ha convinta a candidarsi dopo averla incoraggiata ad appoggiare Obama nelle primarie un anno fa, è così ben connessa da raccomandare la figlia di Rupert Murdoch nella scuola privata d’élite che ha frequentato lei e che ha fatto frequentare alle sue due figlie; e, nel contempo, di essersi offerta per raccogliere fondi (70 milioni) per alzare il livello delle scuole pubbliche del suo amico Michel Bloomberg, che ora l’appoggia. Non ha esperienza politica, e «non ha ricoperto cariche esecutive ma solo presidenze onorarie» è l’accusa dei pochi detrattori. Tra i quali non c’è ufficialmente la Clinton, ma solo perché lei non ha parlato. Lo hanno fatto alcuni suoi fedelissimi, che non dimenticano che i Cuomo, padre e figlio, sono restati al fianco di Hillary: Andrew, ministro della casa nel secondo mandato di Bill, a differenza di altri beneficiati clintoniani, non ha tradito. Anche lui cinquantunenne come la figlia di Jacqueline, il giovane Cuomo si è laureato a New York, alla Fordham, e poi alla scuola di legge ad Albany. Il padre Mario lo ha iniziato alla politica fin da giovanissimo, e coltiva per lui le stesse speranze di successo politico che il patriarca Joseph Kennedy nutriva per i suoi discendenti. Da mezzo secolo c’è sempre stato un Kennedy a Washington: Ted, il senatore superstite, ha il cancro e un solo sogno, Caroline senatrice. Maurizio Molinari