Marco Del Corona, Corriere della Sera 17/12/2008, 17 dicembre 2008
Cina, la riscoperta dei partiti di MARCO DEL CORONA DAL CORRIERE DELLA SERA DEL 17/12/2008 PECHINO – Li chiamano «vasi da fiori»
Cina, la riscoperta dei partiti di MARCO DEL CORONA DAL CORRIERE DELLA SERA DEL 17/12/2008 PECHINO – Li chiamano «vasi da fiori». Decorano l’arredo monocromatico della Repubblica Popolare: è un modo per dire che accanto al Partito comunista ci sono anche loro, gli otto piccoli partiti democratici legali. Tutti insieme sembrano mostrare che quello di Pechino, formalmente, non è un regime a partito unico, anche se si tratta di gruppi che riconoscono – come da Costituzione – il ruolo guida del Pcc. A trent’anni dall’avvio delle riforme economiche di Deng Xiaoping, ora la Cina ha deciso di dare una spolverata ai suoi vasi, consapevole che potrebbero tornare utili, almeno in termini di immagine. E con un impulso insieme propagandistico e politico sta spingendo perché il ruolo dei partiti democratici venga allargato e soprattutto conosciuto e riconosciuto. I loro nomi rimandano a un’altra era: Comitato rivoluzionario del Kuomintang, Associazione per la promozione della democrazia, Società Jiu San, Partito dei contadini e degli operai… Restituiscono – come congelate nel tempo – la Cina degli anni Trenta e Quaranta, la rivalità mortale che divideva i comunisti di Mao Zedong e i nazionalisti di Chang Kai-shek, l’epoca della resistenza contro gli invasori giapponesi, la guerra civile. I partitini erano «terze forze» intermedie alle due più grandi, sono stati fondati allora e – questo spiega la loro sopravvivenza nel sistema cinese – tutti finirono col sostenere il Pcc, affiancandolo in un fronte unito sino alla fondazione della Repubblica Popolare e oltre. Nella primavera dell’anno scorso, per la prima volta dal 1972 è stato affidato un ministero (Scienza e Tecnologia) a un esponente di una formazione democratica, Wan Gang del Partito Zhi Gong. In novembre, il governo cinese ha pubblicato il primo «libro bianco » sul ruolo dei partitini, per mettere ordine in una serie di aggiustamenti legislativi. Ora che Pechino festeggia l’«apertura» di Deng (18 dicembre 1978), vi abbina il rilancio del pluralismo «con caratteristiche cinesi». «Dall’ultimo congresso del Pcc, se si leggono bene le dichiarazioni finali, è emerso che all’evoluzione della democrazia cinese dovrebbero corrispondere una crescita economica e sociale e un incremento della partecipazione popolare alla politica. Per questo va riconosciuto ai partiti democratici un ruolo più ampio»: Li Xiaoning dirige il centro studi sul «fronte unito» all’Accademia centrale del socialismo e sottolinea che la consultazione tra il Partito comunista e le forze minori funziona, anzi «è uno dei quattro cardini del nostro sistema politico». Ha partecipato alla stesura del libro bianco, «sei mesi di lavoro», e Li al Corriere spiega che «è una peculiarità tutta cinese che i partiti politici collaborino ordinatamente al bene comune sotto la guida del Pcc anziché farsi concorrenza, come in Occidente». Sono forze minime rispetto al Partito comunista e ai suoi 73 milioni di membri. La maggiore, la Lega democratica cinese, conta 181 mila iscritti; la più piccola, la Lega autonoma democratica di Taiwan, supera di poco i 20 mila. Il luogo deputato a far sentire la loro voce è l’Assemblea consultiva, l’organo che costituì il primo parlamento della Repubblica Popolare, mentre oggi è stato quasi del tutto svuotato di poteri reali dall’Assemblea nazionale. Inoltre, i leader comunisti convocano i «compagni democratici» (e i senza partito) per ordinare indagini su temi scientifici o economici, per sondare gli umori delle élite intellettuali: Cheng Siwei dell’Associazione per la costruzione democratica, ad esempio, ricorda le sue proposte fiscali. Questo perché gli otto partiti pescano da categorie specifiche della società, ingegneri, medici, famiglie di cinesi d’oltremare o di Taiwan, seguendo un’idea di rappresentanza che non appare troppo distante dalle corporazioni durante il fascismo. «Chi vuole i propri interessi rappresentati da un partito che non sia il Pcc – aggiunge Li – può rivolgersi a uno fra gli 8 che sente più affine». L’orientamento è di riservare ai non comunisti i ministeri tecnici. Così, a Chen Zhu – non iscritto ad alcun partito – è stata affidata la Sanità. Wan Gang, ministro della Scienza in quota al Partito Zhi Gong, ha definito la propria nomina «un nuovo atto nel processo di costruzione della democrazia». Tuttavia, gli osservatori esterni non condividono tanto ottimismo. Andrew J. Nathan, cattedra alla Columbia University e studi importanti sulla Tienanmen, nutre uno scetticismo radicale: «Questi gruppi – dice al Corriere ’ sono sempre serviti come strumenti di una politica da "fronte unito", ma non hanno un vero peso. L’unico partito che comanda non ha interesse a dividere il potere. Per come la vedo io, il corso delle riforme politiche in Cina non prevede alcuna forma di pluralismo. I loro dirigenti sono accademici importanti e su materie tecniche hanno fatto un buon lavoro, ma non producono nuove idee in campo politico». Eppure, per Zhou Shuzhen, del Centro studi sulla Politica contemporanea dell’Università del Popolo, «è importante far vedere che i partiti contano, la globalizzazione ne ha rilanciato il ruolo ovunque. Qui la lealtà rispetto al Pcc è data dalla storia comune, dalla lotta anti- giapponese. Non appartengono alle grandi famiglie dei partiti come si intendono in Occidente, socialisti, liberali, conservatori, religiosi. Magari gli 8 non sono tutti convinti dell’ineluttabilità del comunismo, ma sul socialismo concordano… ». I partitini funzionano come blanda camera di compensazione, non è un caso che il regime decise un primo rilancio a fine ’89, l’anno della Tienanmen e della caduta del Muro. Da allora i loro esponenti hanno ricevuto incarichi da viceministro in giù, sia a livello centrale che provinciale. Non ci si possono aspettare critiche al Pcc, dunque, nonostante la retorica sulla «mutua sorveglianza », né i partitini hanno potere di attrazione nei confronti dei veri dissidenti. Chi è fuori dal sistema resta fuori. Qualcuno che, invece, osserva con attenzione la formula cinese di «democrazia consultativa» c’è, ed è la Russia autocratica del putiniano Dimitri Medvedev. Sia Li Xiaoning sia Zhou Shuzhen sono reduci da viaggi a Mosca. Russia Unita, la formazione di Putin, potrebbe essere interessata – sostengono in conversazioni distinte i due studiosi – a uno sviluppo del quadro politico e istituzionale modellato su quanto ha elaborato la Cina. Una capriola della storia, visto che fu Stalin negli anni Trenta a concepire la strategia del «fronte unito», alleanze «popolari» a guida comunista. Tutto ritorna. E se i vasi restano vasi, almeno i fiori si possono cambiare.