Vincenzo Trione, Corriere della Sera 17/12/2008, pagina 43, 17 dicembre 2008
Corriere della Sera, mercoledì 17 dicembre 2008 una storia di ambizioni e di difficoltà, di slanci e di delusioni, di scontri e di indiscrezioni
Corriere della Sera, mercoledì 17 dicembre 2008 una storia di ambizioni e di difficoltà, di slanci e di delusioni, di scontri e di indiscrezioni. Una storia maledetta. Quasi una spy fiction, il cui protagonista è uno tra i maggiori artisti spagnoli viventi, Miquel Barceló, il quale, nel 2007, ha ricevuto da re Juan Carlos (con l’appoggio del premier Zapatero), l’incarico di affrescare il soffitto della Sala XX del Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra, in occasione delle celebrazioni del 60˚anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani. Barceló progetta un’opera faraonica, che lo impegna per più di un anno. Un’imponente installazione cromatica, idealmente concepita, al di là delle affermazioni del suo autore, come una nuova Cappella Sistina. Cifre da capogiro. Un’immensa cupola ellissoidale (1400 metri quadri), ricoperta con 35 tonnellate di pittura, prodotta con 26 diversi pigmenti. Il richiamo michelangiolesco, però, è solo un’eco lontana: un modello da frequentare, da studiare e poi da tradire. Nella sala intitolata ai Diritti Umani e all’Alleanza delle Civiltà sparisce ogni riferimento teologico e religioso. Ci troviamo dinanzi a una maestosa grotta policroma, che ci avvolge e ci precipita addosso con una fitta sintassi di stalattiti prossime a sciogliersi su di noi. Una costruzione organica, fisiologica: così l’ha descritta lo stesso Barceló. Un modo per evocare «l’orografia del mondo, dominata dalla forza di gravità». Per allestire questa disomogenea costellazione sono state coinvolte molte voci: ingegneri, fisici, architetti, addirittura restauratori di caverne preistoriche. Insomma, un dinamico cantiere, la cui gestione è costata circa 20 milioni di euro: in parte, finanziati da imprese private; per il 40% provenienti dai fondi governativi di Madrid, originariamente destinati a sostenere i Paesi in via di sviluppo. Immediate le polemiche. Poi – lo scorso 18 novembre – l’inaugurazione. Tanto entusiasmo. Ma anche tante critiche. Siamo all’ultimo paragrafo (almeno per ora). La storia maledetta riserva un’altra sorpresa, sulla quale i quotidiani spagnoli finora hanno taciuto. All’indomani della preview, circolano in rete alcune fotografie «scandalose», in cui si vedono parti (già) staccate della volta. Queste immagini vengono subito pubblicate da un giornale on line madrileno, «Libertad Digital». Il 25 novembre, inoltre, la notizia viene confermata da un corrispondente argentino, Juan Gasparini, il quale, su «Human Rights Tribune», scrive che il cielo di Barceló sta crollando e che l’Onu sta cercando di evitare la diffusione della notizia. Per questa ragione, «le porte di cristallo della Sala XX del Palazzo delle Nazioni sono state chiuse ». Fino al 12 dicembre, quando sono state riaperte alla presenza del Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-moon. Com’è possibile?, verrebbe da chiedersi. Qual è il valore di questa vicenda avventurosa e paradossale? Fortemente simbolico. Rivela gli sforzi – quasi prometeici – di un artista contemporaneo, che prova a portare a termine un’impresa ardua, sottraendosi al minimalismo di idee proprio di ampie regioni delle poetiche attuali. Disegna l’inedito perimetro di una querelle des anciens et des modernes, in cui un creatore di oggi vuole sfidare un maestro come Michelangelo, meravigliosamente irraggiungibile. Documenta un delicato passaggio tra spazi. La cornice è costituita dall’involucro architettonico, all’interno del quale si articola una pioggia di schegge colorate, che sembra liquefarsi mentre la osserviamo. In questo teatro capovolto, si mette in scena un gesto estremo: Barceló riporta, potremmo dire servendoci delle parole di John Berger (in Sacche di resistenza, edito da Giano), gli esiti della sua ribellione. Si pone in ascolto della «protesta di ogni dipinto contro il modo in cui è rappresentato»; rifiuta gli inquadramenti, le prospettive, le simmetrie. Asseconda «la volontà di resistere della materia brulicante», delineando un paesaggio prima del peccato originale. Alchimie assurde: metamorfosi naturali, impasti sommariamente stesi, da cui sorgono visioni. Un gesto coraggioso. Eppure, destinato a un naufragio forse inevitabile. La Cappella Sistina di Ginevra sembra si stia già dissolvendo. Subito ha mostrato crepe, imperfezioni: un equilibrio statico precario. Si è appena scrostata una zolla. Perché? L’opera si sta ribellando alla volontà del suo autore? La questione è altrove. Barceló è diventato l’involontario testimone di un’epoca segnata da limiti invalicabili. Inutile rinominare i classici, rifare i capolavori, replicare ciò che è inimitabile: anche se con modalità stilistiche diverse. Siamo in un’epoca che tende a divorare tutto, a non edificare eventi capaci di vincere il tempo, a non lasciare tracce permanenti, a non difendere più i grandi racconti visivi. Novello Icaro, Barceló si è bruciato con il suo sogno. Ma siamo davvero al capitolo conclusivo di questa storia maledetta? Vincenzo Trione