Antonio Lodetti, il Giornale 17/12/2008, 17 dicembre 2008
ANTONIO LODETTI PER IL GIORNALE DI MERCOLEDì 17 DICEMBRE 2008
il cantautore popolare per eccellenza; sia perché interpreta i sentimenti collettivi, sia perché la sua vena creativa unisce pop e musica d’autore in un mix di qualità e successo commerciale. Antonello Venditti chiude sabato al Datchforum di Milano il suo tour invernale «con un concertone finale in cui festeggio il Natale - dice -. Suonerò finché le forze mi sorreggono e chiuderò da solo al pianoforte, come non faccio da tempo». In scaletta i suoi grandi successi e i brani dell’ultimo cd Dalla pelle al cuore, viaggio all’interno di se stesso all’insegna della fede e della redenzione. «Ma attenzione - sottolinea Venditti - io sono stato uno dei primi ad ammettere la mia fede, a mettere in campo il mio cristianesimo, a parlare di Dio dall’inizio della mia carriera».
Negli anni 70 non era un tema molto popolare.
«Tutta l’attenzione era catalizzata dalla politica, ma bastava guardare i miei brani da una sfumatura diversa per trovare sfumature mistiche».
Allora contava di più parlare di «compagni» e lei s’è adeguato.
«Non m’interessano le etichette. Per me prima di compagno è sempre venuta la parola amico».
Un messaggio da vero cristiano.
«La mia fede non nasce dal cuore ma soprattutto dalla ragione; non dall’istinto ma dall’intelletto. Per assurdo fui persino denunciato per vilipendio della religione. E oggi, nell’ultimo album ho scritto un brano prendendo le parti di Giuda, un uomo che ha peccato di presunzione e che, nonostante tutto il male che ha fatto, ha avuto la sua possibilità di pentimento e redenzione».
Quindi non è più come ai tempi di Don Camillo: si può essere comunisti e credere.
«Il Venditti comunista è nato scrivendo "vedo la santità del cupolone"; in realtà dentro di me convivono Antonello, laico e di sinistra, e Venditti, cristiano. Ma invece di scontrarsi le due parti si rafforzano e tonificano tra loro senza compromessi né traumi».
Un Venditti ecumenico.
«Un Venditti amato da tutti perché non ha pregiudizi e dice sempre quello che pensa. Ho sofferto da ragazzo vedendo gente che per orgoglio o per ideologia non riusciva a comunicare. Io voglio morire chiedendo scusa a coloro cui ho fatto del male e spero di ottenere in cambio la stessa cosa. Le mie canzoni piacciono a sinistra ma "Stella" viene cantata in chiesa durante la Messa».
A un suo amico vescovo disse: «La vita è l’invenzione di un pazzo».
«E lui ribatteva: "No, è un dono di Dio". Parliamo di Monsignor Camisasca, che sarà al mio concerto di Milano. Siamo amici dal 1984 e il dialogo con lui è sempre particolarmente stimolante. Al concerto ci saranno tanti politici, da Epifani a Castelli, perché la canzone è poesia e la poesia non ha colore, ognuno la applica al suo mondo».
E la politica?
«Io ho sempre fatto politica ma nessuna canzone di per sé può definirsi politica. poesia che poi assume diversi significati. Quando io parlavo di rivoluzione intendevo quella della coscienza, altri intendevano quella armata».
Oggi la politica è diversa.
«Per fortuna non ci sono analogie tra i movimenti giovanili di oggi e quelli degli anni 70. La violenza è da cretini».
Ma riaffiora anche sui campi di calcio che lei ama tanto.
«Nel calcio la violenza è il baluardo delle sottoculture emarginate di destra e di sinistra».
Lei è ancora attivo nel Pd?
«Vorrei ma il Pd non è pervenuto. Un tempo c’erano le sezioni dei partiti, oggi non si sa cosa fare, mentre bisogna riconquistare il territorio. La politica è lavoro, non bisogna dimenticarlo: per questo credo che la mia canzone perfetta sia "In questo mondo di ladri". Oggi compie vent’anni ma è sempre attuale. Bisognerebbe usarla come inno nazionale».
E i nuovi cantautori?
«Oggi c’è crisi di vocazione dei cantautori. Troppe parole, mancanza di sintesi e quindi mancanza di poesia: domina il linguaggio degli sms. Bisogna tornare a suonare insieme tra amici, altrimenti ognuno scrive le sue canzoni da solo sul computer e la musica vera scompare».
Ci racconta come conobbe Rubinstein?
«Nel 1970 venne a suonare alla Sapienza. Era pieno così e io volevo capire come usava i pedali del pianoforte; così durante il concerto mi nascosi sotto il piano stesso, col pedale che quasi mi schiacciava lo sterno. Lui se ne rese conto e ogni tanto mi chiedeva: "Tutto a posto?"».