Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La pace sul ghiaccio tra Kim e Moon
Si deve dire peste e corna di Kim Jong-un, l’uomo che per costruire bombe atomiche affama il suo stesso popolo. Pure, l’ultima uscita conferma un vecchio sospetto, e cioè che l’uomo abbia un cervello dotato di qualche finezza, tanto più interessante per noi che scriviamo sulla Gazzetta perché la svolta nelle relazioni tra quel tiranno tremendo e il resto del mondo sembra affidata a due campioni di pattinaggio sul ghiaccio.
• La finezza è che vuole partecipare alle Olimpiadi invernali di
PyeongChang, in Corea del Sud.
Guardi un po’, io pensavo soprattutto a quel vestituccio grigio che s’è messo addosso per pronunciare il discorso di Capodanno. Un capo non solo di foggia occidentale, accompagnato da una cravatta in tinta e da occhiali da professore, ma anche leggerino, si direbbe, in un giorno in cui il termometro segnava in Nord Corea sette gradi sotto zero. Non può essere un caso se Kim ha rinunciato alla divisa d’ordinanza - la versione nordcoreana della zhongshan zhuang,
la giacca di Mao disegnata a suo tempo da Sun Yat-sen, diretta discendente delle uniformi prussiane - in favore di un vestito occidentale dall’aria innocente. Un messaggio c’è, in quell’abito, e potrebbe essere il seguente: non sono poi tanto diverso, se voglio; quindi se voglio, e se voi volete, ci si può mettere d’accordo.
• Vuole isolare Trump.
Proprio così. Infatti, dopo aver detto che il pulsante rosso della guerra nucleare è sulla sua scrivania, ha però avvertito che non sarà lui a sparare il primo colpo. E ha infine aperto a una revisione radicale delle relazioni con la Corea del Sud, che è un alleato di prima grandezza degli americani. Mentre i coreani del Nord campano con 500 dollari l’anno - cioè muoiono di fame - i coreani del Sud, con il doppio della popolazione, abitano l’undicesima potenza industriale del mondo. Kim ha dalla sua il fatto che il nuovo presidente Moon è stato eletto proprio su una piattaforma moderata, in cui si prometteva la ripresa del dialogo col Nord. Tra i due Paesi, se lo ricorderà, non è stata neanche firmata la pace: non si sparano addosso grazie a un armistizio vecchio di sessant’anni, ma formalmente, a rigore, sono sempre in guerra. L’aggressività di Trump ha fatto il resto: sondaggi nella Corea del Sud mostrano che i sudcoreani, benché occidentalizzati, hanno quasi quasi più paura delle minacce della Casa Bianca che di quelle di Pyongyang. Per quanti punti abbia segnato sullo scacchiere iraniano, Trump sembra averne persi parecchi su quello coreano.
• Saranno servite anche le pressioni della Cina.
Probabilmente. Qualche giorno fa la Cina ha fatto sapere di aver sospeso le forniture alla Corea del Nord di benzina, carburante per jet, gasolio e di aver smesso di comprare dai nordcoreani ferro, carbone e piombo. Il ministero degli Esteri di Pechino ha sottolineato che la Cina «ha costantemente, pienamente, correttamente, scrupolosamente e fermamente applicato le risoluzioni Onu sulla Corea del Nord». Anche le esportazioni alimentari dalla Cina verso la Corea del Nord sono crollate: il mais registra una flessione dell’82% su base annua, per il riso il calo è del 64%. A novembre, l’interscambio tra i due Paesi si è fermato a 388 milioni di dollari, uno dei volumi più bassi dell’anno. Le pressioni cinesi saranno sicuramente servite.
• Chi sono i due pattinatori che potrebbero partecipare alle Olimpiadi del mese prossimo?
Kim Ju-sik, 25 anni, e la sua compagna Ryom Tae-ok di 18. Pattinaggio artistico. Si sono guadagnati la qualificazione un mese fa a Oberstdorf in Germania. Kim però non li aveva iscritti ai Giochi. Una mossa di cattiveria pura, si direbbe, senonché questa mancanza fa sì che adesso ci sia qualcosa da trattare con Seul. I tempi sarebbero scaduti, ma due delegazioni si incontreranno, probabilmente già il 9 gennaio, e discuterranno delle wild card da offrire ai nordcoreani. A Seul tutta la diplomazia s’è messa in movimento, gli uomini del presidente Moon hanno dichiarato di essere pronti a trattare dovunque e comunque, senza alcuna formalità, senza il minimo pregiudizio, e senza porre alcuna condizione. Lavora nel profondo il sogno di riunificare in qualche modo il Paese, di sentirsi in qualche modo coreani e basta, senza Sud e senza Nord.
• Non successe qualcosa di simile col ping-pong al tempo di Mao e di Nixon?
Si dice che la cosa fosse casuale. Ai mondiali di ping pong del 1971, il campione americano Glenn Cowan, avendo perso il suo bus, saltò su quello dei cinesi. Qui strinse amicizia col campione cinese Zhuang Zedong. All’epoca i due paesi non si parlavano e non avevano rapporti dilomatici. La foto dei due che scendevano insieme dal pullmino fece perciò il giro del mondo. Mao prese la palla al balzo, e Nixon pure. E l’anno dopo il presidente americano andò a trovare Mao a Pechino e si sentì dire che quelli di destra erano molto più affidabili di quelli di sinistra. Favorì l’incontro l’inimicizia ricambiata di Mosca per Pechino, al punto che i diplomatici russi andarono a chiedere agli americani con chi si sarebbero messi se fosse scoppiata una guerra tra loro e i cinesi. Il ping pong quella volta rese un grande servizio all’umanità, dato che non vi furono poi né guerre tra russi e cinesi né guerre tra russi e americani e neanche guerre tra americani e cinesi. Adesso Kim ha detto: «Desidero una risoluzione pacifica al confine meridionale. Il Nord e il Sud devono alleviare le tensioni e lavorare come un solo popolo con una medesima eredità per trovare pace e stabilità»». Che c’è di meglio, per questo, del pattinaggio artistico su ghiaccio?
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