Corriere della Sera, 3 gennaio 2018
Che talento quel mezzemaniche. La rivincita del «filisteo» Svevo
Per un’anima letteraria doveva pur esserci un antidoto al naufragio esistenziale, alla dissoluzione fino al suicidio, in quella Trieste viennese di tardo Ottocento. Scoprì la medicina adatta e la bevve fino all’ultima goccia Ettore Schmitz, giovane ebreo-italiano, nato in una città asburgica ma educato in un collegio germanico (nell’antica Svevia). Quando si percepì avviato sulla pericolosa china dello scapigliato di provincia, dell’inetto in balìa del nulla in un mondo senza passioni, rinnegò la propria appartenenza ebraica, seppellì il demone della scrittura e rinunciò a un amore (Giuseppina) che, borghesemente abbandonata, si trasfigurerà nella cavallerizza di un circo.
Ettore Schmitz, segnato dal fallimento paterno, alla morte della madre si consegnò a una lontana cugina, Livia, bionda e formosetta, un po’ meno ebrea di lui e già abbondantemente cristianizzata, e a un dignitoso impiego da mezzemaniche. Si consegnò soprattutto alla suocera, Olga Moravia Veneziani, spietata matriarca che scandiva i tempi e i destini di un clan benestante abbarbicato a una premiata ditta di vernici industriali. Olga rieducò Ettore estirpandogli (non definitivamente) il vizio della scrittura e alimentandogli quello meno insidioso del violino, da far gemere nelle serate «culturali» offerte dalla famiglia Veneziani agli amici triestini. A tempo debito, la suocera lo cooptò nel governo della ditta e fu così che Ettore Schmitz sopravvisse nel suo doppio: lo scrittore che pubblicava con un nome de plume a proprie spese e senza pretese; e «mi scese nell’anima la grande tranquillità che questo vigliacco mondo borghese m’accorda».
Antivita di Italo Svevo (Aragno) è il titolo del libro-affresco di Maurizio Serra, già apparso in Francia e in Spagna. L’ambasciatore letterato da qualche anno scrive direttamente in francese le sue storie italiane. La precedente, una biografia di Curzio Malaparte, è stata premiata con il Goncourt. Come definire i suoi scritti? Biografia no, saggio critico nemmeno. Sono esempi di letteratura senza confine: Serra porta in sé un bagaglio di letture e frequentazioni, di viaggi ed esperienze che trasforma in un flusso narrativo inarrestabile fino a quando il quadro non è completato. Al lettore sembra allora di condividere quel mondo e quell’epoca.
Una vita, Senilità, La coscienza di Zeno, i racconti e i loro personaggi si fondono nel mondo familiare e sociale di Ettore-Italo. Come l’agrodolce rapporto con Umberto Saba, il loro duello in punta di fioretto combattuto a distanza. Si dice che Ettore Schmitz sia l’unico cliente a non aver mai ottenuto uno sconto nella libreria del poeta. «Era un caro uomo il vecchio Schmitz! Dopo le lodi ai suoi romanzi, nulla gli piaceva tanto come raccontare agli amici i ricordi della sua lunga vita commerciale». Saba temeva che il «filisteo borghese» gli rubasse la scena letteraria triestina. Ne veniva ripagato in una lettera di Ettore a Eugenio Montale: «Non giudichi malamente il Saba. È un candido. Voglio dire che con grande candidezza rivela la sua ambizione e anche la sua vanità».
Un giorno d’ottobre del 1904 giunse a Trieste un giovane irlandese già convinto del suo genio. Il professor Zois (James Joyce) venne assunto come insegnante d’inglese alla Berliz Cul (Berlitz School) e qui incontrò il commerciante di vernici Ettore Schmitz. Non frequentavano gli stessi luoghi – Zois era a suo agio nelle bettole e nei lupanari – ma tra i due nacque una complicità letteraria.
L’irlandese stava scrivendo Gente di Dublino e prese l’abitudine di portare i capitoli ultimati con sé quando si recava in villa per dare lezioni d’inglese alla coppia Schmitz-Veneziani. Dopo aver ascoltato leggere il capitolo I morti, la signora Livia andò in giardino, colse un mazzo di fiori e li offrì all’autore esordiente. Ettore, risvegliatosi Italo, gli sottopose la «vergogna» di una vita precedente, Senilità, e ne ottenne, come commento, che «neanche Anatole France avrebbe potuto eguagliare…». Vent’anni dopo sarà il già osannato Joyce dell’ Ulisse ad aprire le porte del riconoscimento letterario, in Francia e nel Regno Unito, alla Coscienza di Zeno, che gli editori italiani si ostinavano a condannare allo stesso limbo di Una vita e Senilità.
Agli albori del Novecento, Ettore si era scusato con la moglie in vacanza: «Olga dice che domani non ti potrò scrivere perché quando si lavora non si scrive». Ora, un quarto di secolo più tardi, nelle foto-ricordo della riconosciuta gloria letteraria del genero, la matriarca appare «brutta e trionfante come non mai, con stampata in faccia l’espressione del batrace satollo». Ma era troppo tardi. Un incidente stradale congiunse per sempre Italo a Ettore in un busto alla memoria, che il fascismo repubblichino poi distrusse per trasformare il bronzo giudeo in cannoni. Il signor Schmitz si ritrovò così ricongiunto anche con i suoi antenati.