La Stampa, 3 gennaio 2018
Cina, Russia e Usa verso le rotte del Nord. È cominciata la grande guerra dell’Artico
Nella conferenza stampa di fine 2017 Vladimir Putin ha voluto mettere le cose in chiaro sulle ambizioni di Mosca al Polo Nord: «La ricchezza della Russia crescerà con l’espansione nell’Artico». Putin ha anche detto che il potenziamento industriale russo in Artico avverrà in cooperazione con la Cina. Un monito a Washington colto da uno che di energia se ne intende, l’ex petroliere Rex Tillerson, il quale ha ribadito che l’Artico diventerà sempre più importante negli anni a venire. Il segretario di Stato ha però anche affermato che gli Stati Uniti sono diventati inseguitori rispetto alle altre cinque «Nazioni artiche» (Canada, Islanda, Groenlandia, Norvegia e Russia), e all’avanzata della Cina. Specie perché le rotte polari sono oggi più percorribili a causa dello scioglimento dei ghiacci.
Russia
Il governo russo ha avviato una riorganizzazione delle competenze relative alle rotte del Nord, che conferisce al gigante statale Rosatom le principali deleghe al fine di gestire in maniera organica ed efficiente le attività marittime. A questo si aggiunge il potenziamento delle rotte ferroviarie con il maxi progetto Belkomur, che già dal 2023 collegherebbe Mar Bianco, Komi e Urali, e la costruzione del tratto di ferrovia Vorkuta-Ustkara nella stessa repubblica di Komi. L’obiettivo di Mosca è avere il controllo del pedaggio della «Northern Sea Route», la rotta Asia-Europa, che dai porti cinesi attraversa lo stretto di Bering, percorre l’Artico e termina a Rotterdam. Con l’abbattimento dei tempi rispetto alla rotta opposta, che da Rotterdam arriva ai porti cinesi passando per Gibilterra e Suez. E la Russia lo farebbe fornendo assistenza, rompighiacci e ponti radio. C’è infine lo Yamal Lng, progetto da 27 miliardi di dollari per la produzione di gas liquefatto, realizzato in collaborazione con la Cina. La gestione è affidata a Novatek e finanziata in parte dai cinesi oltre a una partecipazione della francese Total: consentirà di produrre 16,5 milioni di tonnellate di gas «super-cooled» entro il 2019. L’obiettivo è eludere le sanzioni Usa e diventare un leader nel mercato del gas naturale liquefatto.
Cina
Nell’ultimo lustro Pechino si è rivelata l’attore più attivo e generoso nell’Artico con 89,2 miliardi di dollari investiti dal 2012 al luglio 2017. Per capirci, l’intero valore dell’economia della regione artica è di 450 miliardi. Oltre alla partecipazione in Yamal c’è quella nella ferrovia russa Belkomur, l’acquisto da 15,1 miliardi di dollari della canadese Nexen, e le acquisizioni di miniere in Russia, Canada e Groenlandia per miliardi di dollari. Oltre all’accordo siglato da Sinopec, la più grande compagnia petrolifera del Dragone, per lo sviluppo di un gasdotto e un terminal per l’export di gas liquefatto. Il progetto consentirebbe di portare gas naturale dal North Slope in Alaska (che conta riserve per 34-45 mila miliardi di metri cubi di gas) alle coste dello Stato dove verrebbe liquefatto e trasportato in Cina. Pechino sta cercando di migliorare la qualità del suo ambiente contaminato da enormi emissioni nocive, e il gas ha un ruolo fondamentale nel sostituire il carbone.
Usa
Gli Usa rimangono il Paese che ha il maggior interscambio commerciale con i partner dell’Artico, ma ogni transazione ha un valore medio di 368 milioni di dollari, mentre quello della Russia è di 790 milioni e quello del Canada di 568 milioni di dollari. Le restrizioni alle esplorazioni petrolifere in Alaska per motivi di tutela ambientale e la perdita di interesse geostrategico del Polo Nord da parte dell’amministrazione di Barack Obama hanno lasciato l’America indietro rispetto ad attori vecchi e nuovi. Con il via libera alle esplorazioni, come quello concesso all’Eni, voluto da Donald Trump, si punta al rilancio degli Usa anche se lo scenario è oggi più competitivo. Anche sul piano militare, con la Russia che conta nella regione 425 insediamenti. La Cina da parte sua rafforza la presenza nei forum regionali al fine di acquisire maggiore influenza.
Gli Usa, da parte loro, hanno lanciato in orbita il primo di quattro «satelliti polari»che monitoreranno l’Artico al fine – è questa la spiegazione ufficiale – di monitorare lo scioglimento dei ghiacci. In realtà il monitoraggio potrebbe essere ben più ampio. Non a caso l’ex sottosegretario di Stato Usa, Paula J. Dobriansky, rivolgendo un appello alla Nato, ha affermato: «È in corso una guerra fredda nell’Artico, con la Russia protagonista di una escalation militare che impone una risposta decisa da parte dell’Occidente».