La Stampa, 3 gennaio 2018
Trump fa ripartire le trivelle. Eni in Alaska a caccia di petrolio
Si trova così a Nord, sulla costa dell’Alaska, che non ci è arrivato neanche Jack London. La località di Oliktok Point è affaccia sul Mare di Beaufort, una sezione dell’Artico (di fronte c’è soltanto ghiaccio fino al Polo) e proprio qui, e nel pieno della stagione invernale, cioè la più difficile, il gruppo italiano Eni ha appena cominciato a trivellare in cerca di petrolio. Nel 2015 ci aveva già provato l’anglo-olandese Shell, che però aveva gettato la spugna per via di troppe difficoltà tecniche e di vincoli ambientali troppo stringenti.
Ecco, i vincoli ambientali. Il presidente americano Donald Trump li ha allentati, per far ripartire la corsa all’oro nero anche in zone delicate come l’Alaska e l’Artico, perciò può scattare in tutti noi il dubbio che adesso l’Eni ne stia approfittando. Ma dal gruppo italiano respingono il sospetto: «Anche se l’ultimo via libera del governo federale è arrivato dall’attuale Amministrazione, le regole che sono state applicate sono le stesse in vigore da anni», cioè dall’epoca di Obama; insomma non è entrato in gioco un surplus di irresponsabilità verso l’ambiente. Oltretutto la trivellazione dell’Eni avviene a una distanza dalla costa che è proprio al limite fra la competenza delle autorità federali e quella dello Stato dell’Alaska, perciò il gruppo ha dovuto chiedere diverse autorizzazioni, regolarmente arrivate nel corso degli anni.
E si parla di anni perché questo impianto di trivellazione non si trova su una piattaforma petrolifera ma su un’isola artificiale, Spy Island, che ha richiesto molto tempo per essere realizzata con tutte le infrastrutture. Spy Island è collocata in mare a pochi chilometri dal campo petrolifero di Nikaitchuk, sulla terraferma, dove l’Eni lavora da tempo. Anche se le trivelle si trovano in mare, l’impianto non è considerato offshore, perché quelle acque sono profonde solo 3 metri e mezzo.
A regime, il nuovo pozzo dovrebbe fornire 20 mila barili di petrolio al giorno. Per adesso le trivelle stanno solo esplorando, ma è praticamente certo che troveranno il petrolio, perché vanno a pescare in strati geologici imbevuti di greggio che si trovano sulla terraferma e hanno una propaggine nel fondale marino. Questo distingue l’attuale operazione dell’Eni dal precedente tentativo della Shell, che era avvenuto in mare aperto; la stessa Shell intende comunque riprovarci a breve.
Il ghiaccio è un problema in questa stagione per chi cerca gli idrocarburi nell’Artico, ma paradossalmente l’Eni considera questa zona piuttosto facile, in senso relativo, perché davanti a Oliktok Poin il mare gela solo per due o tre mesi all’anno, e questo non è il peggio che si possa trovare nel Mare di Beaufort. Il gruppo Eni è abituato ad affrontare situazioni molto più difficili, per esempio quella trovata nell’impianto di Goliat nel Mare di Barents, in acque norvegesi: qui sono stati investiti 5 miliardi di euro per estrarre 100 mila barili equivalenti al giorno (l’unità di misura che uniforma petrolio e metano) dal giacimento più a Nord del mondo, in condizioni ambientali particolarmente difficili. Ma Goliat coi suoi numeri da record è andato incontro a molti problemi, che l’Eni si augura di non incontrare a Spy Island.