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 2018  gennaio 03 Mercoledì calendario

Affitti pubblici, Milano centro incassa più di tutta Roma

MILANO La storica affittopoli del mattone pubblico di Roma (nata ben prima – diciamolo subito – della giunta Raggi) ha generato alla fine l’assurdo immobiliare: la Galleria Vittorio Emanuele di Milano, 196 metri di lunghezza per 105 di larghezza, rende a Palazzo Marino più di quanto incassa il Campidoglio da tutti i suoi 42.717 immobili di proprietà. Buona parte del tesoretto (si fa per dire) capitolino è fatta di edilizia residenziale pubblica, affittata a canoni agevolati. Ma ci sono pure un migliaio di immobili – tra cui interi palazzi di pregio – piazzati sul libero mercato.
E i numeri parlano chiaro: gli inquilini ospitati nell’ottagono tra Piazza Duomo e Scala hanno versato al Comune di Milano nel 2015 (ultimi dati comparabili) 25,7 milioni di affitto. Nello stesso periodo – certifica il sito di Roma Capitale – «gli introiti realmente incassati derivanti dai canoni di locazione dell’amministrazione ammontano a 24,9 milioni». Il distacco, oltretutto, è destinato nel breve termine ad allargarsi: le griffe della moda e gli chef stellati (ultimi arrivati Prada, Dutti e Cracco) continuano a contendersi a suon di rilanci le vetrine del salotto meneghino e il gettito nel 2018 dovrebbe salire a 32 milioni.
Il caos della gestione del mattone di Roma è una storia antica come quella dell’Urbe.
Ogni amministrazione appena insediata ha consegnato alla città le stesse laconiche parole che usa oggi Rosalba Castiglione, assessora a patrimonio e politiche abitative della giunta Raggi («abbiamo ereditato una situazione con zone grigie ingiustificabili!»), impegnandosi a sistemare le cose. Nessuno però c’è riuscito.
Manca un censimento approfondito delle proprietà effettive della città. Resistono storture come le case vista Colosseo affittate a 30 euro al mese o l’inquilino con intestate 18 case popolari.
La certificazione più plastica del fallimento è la radiografia fatta nel 2016 dall’ex-Commissario del Campidoglio Francesco Paolo Tronca su 547 immobili del primo municipio, nel centro della capitale. Un’analisi a campione che ha certificato come solo il 18,5% degli appartamenti era affittato a prezzi di mercato, il 16,2% era occupato abusivamente, il 46% aveva contratti scaduti. Più ciliegina sulla torta, una morosità che proiettata sul territorio di Roma capitale ipotizzava un arretrato complessivo di 350 milioni.
Milano – ovviamente – non è un’oasi di felicità immobiliare.
C’è l’hotel a sette stelle finito in arretrato con il pagamento del canone in Galleria. La Metropolitana milanese ha appena scoperto 1.500 appartamenti in case popolari dove – per decessi o trasferimenti – inviava le bollette ma non abitava più nessuno.
Sono però più eccezioni che la regola: la morosità sulle 900 case affittate a canone di mercato è all’1,98%. Palazzo Marino spende “solo” 3,4 milioni l’anno in affitti a terzi per ospitare uffici pubblici o garantire case a canone agevolato mentre Roma – che ha territorio e utenza molto più ampi – paga un conto annuo di 23 milioni per l’edilizia residenziale più un’altra trentina per ospitare scuole e istituzioni.
Proprio la storia immobiliare della Galleria Vittorio Emanuele, però, è la prova che basta poco – in parole semplici una buona amministrazione dei beni comunali – per ottimizzare il rendimento del patrimonio pubblico e garantirsi entrate da spendere in servizi ai cittadini: nel 2007 il salotto di Milano rendeva appena sette milioni l’anno. Ora ha moltiplicato quasi per quattro le entrate aumentando dal 46 al 75% la parte ad uso commerciale, azzerando o quasi gli appartamenti, spostando in sedi più decentrate parte delle associazioni ospitate sotto la cupola del Mengoni e inserendo nei nuovi contratti d’affitto (moltiplicati a volte per dieci rispetto ai precedenti) l’impegno degli inquilini a ristrutturare le parti pubbliche dell’Ottagono.
La giunta Raggi dopo il cambio in corsa dell’assessore con le deleghe sul patrimonio, sta provando ora ad attaccare il Moloch malato del patrimonio immobiliare capitolino. Il censimento sulle case popolari ha scoperchiato il tradizionale rosario di abusi e scandali: 2mila case occupate da persone con redditi alti, 1.600 appartamenti i cui legittimi assegnatari erano deceduti (tra cui uno di 100 metri quadri in Piazza Navona ereditato dalla nipote – tutt’altro che indigente – di una defunta).
Castiglione ha inviato una lettera agli inquilini più ricchi invitandoli a fare garbatamente un passo indietro. «In un anno e mezzo – spiega – abbiamo assegnato 700 alloggi popolari di cui 450 solo nel 2017, contro i 250 del 2014 e i 280 del 2015».
«Abbiamo avviato un percorso virtuoso i cui primi risultati si vedono – garantisce – e l’assegnazione a una società interna della questione degli arretrati consentirà il recupero della morosità in tempi certi».
Parole già sentite dalle precedenti amministrazioni che andranno verificate con i fatti.