Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 03 Mercoledì calendario

Daudet, vita esagerata di un esteta reazionario

Nell’intervallo che intercorre tra la sconfitta inflittale dalla Prussia a Sedan nel 1870 e l’inizio del Prima guerra mondiale, fu in primo luogo la letteratura il campo di battaglia dove la Francia dovette fare i conti con le due ideologie nate dalla Rivoluzione: il nazionalismo e l’universalismo, la destra e la sinistra, la tradizione e la modernità. E i Ricordi letterari di Léon Daudet, dei quali Mario Andrea Rigoni ha avuto la felice idea di curare una piccola antologia nella elegante traduzione di Luigia Zilli (La scuola di Pitagora), non potrebbero illustrare meglio la violenza dello scontro.
Nato nel 1867, figlio del celebre scrittore Alphonse Daudet – l’autore di Tartarino di Tarascona – e dell’attrice e poetessa Julia Allard, Léon, a sua volta romanziere, giornalista e memorialista, aveva ripiegato sulla carriera letteraria non essendo riuscito a portare a termine gli studi di medicina. Ma pur sostituendo il bisturi con la penna, il suo obbiettivo era rimasto lo stesso: curare la Francia, purificare il suo sangue contaminato dalla presenza infetta di anarchici, socialisti, ebrei, nemici della patria. Non sarebbe stato il solo: di diciassette anni più giovane, come lui medico e scrittore, Louis-Ferdinand Céline avrebbe sofferto della sua stessa sindrome per la maggior gloria della prosa francese. E sul fronte avverso, medico e giornalista non meno feroce di loro, Georges Clemenceau, figura chiave della Terza Repubblica, si sarebbe servito delle sue doti di scrittore per mettere alla gogna i suoi avversari politici.
È dunque osservando con occhio clinico il mondo letterario e politico che aveva conosciuto fin da ragazzo a casa dei genitori che Léon Daudet sviluppò il suo straordinario talento di ritrattista, rinsaldato dalla convinzione lombrosiana di una stretta interdipendenza tra il fisico e il morale. Lo scrittore se ne sarebbe avvalso in chiave caricaturale e grottesca nella sua militanza politica come nella sua inesauribile produzione romanzesca. Violento ed estremista per natura, egli visse il caso Dreyfus come una rivelazione. Da anarchico di sinistra si trasformò in campione fanatico della destra e del legittimismo monarchico. E non si limitò ad attaccare i liberali dalle pagine de l’Action française – che diresse con Charles Maurras – a schierarsi a favore della guerra contro la Germania, a combattere il disfattismo e a incitare alla resistenza. La sua militanza di deputato, i suoi innumerevoli duelli, i suoi incidenti con la giustizia mostrano bene come Daudet non si facesse scrupolo di passare dalle parole ai fatti.
Ma Daudet amava troppo la letteratura per lasciarsi obnubilare a riguardo dallo spirito di parte, e all’occorrenza sapeva servirsi del suo acume per rendere omaggio a scrittori molto diversi da lui. Marcel Proust – che grazie a Daudet ottenne nel 1919 il Goncourt per Les jeunes filles en fleurs – non esitò a paragonarlo al duca di Saint-Simon «per l’alternanza, e l’uguale riuscita, dei ritratti magnificamente atroci e dei ritratti dolci, veneranti, nobili».
È di questa alternanza che Rigoni ci fornisce oggi con la sua bella antologia un esempio eloquente, ricordando l’invito terapeutico rivolto da Daudet ai suoi lettori: «Ognuno di noi, se si osserva con perspicacia e ha il coraggio di farsi carico di se stesso, ha in sé il dottore ideale».