il Giornale, 3 gennaio 2018
Tom Wolfe «stronca» Repubblica su Repubblica
Ieri Tom Wolfe ha rilasciato a la Repubblica una bella intervista in cui spiega perché il pensiero di Repubblica è morto. Ovviamente a Repubblica non se ne devono essere accorti. Il risultato è paradossale e poco conta, immaginiamo, che l’originale fosse stato concesso per il meno gauchista Figaro. Wolfe è il grande scrittore americano che scandalizzato dall’ipocrisia dei salotti ricchi e progressisti di New York coniò nel 1970 il termine radical chic. «Il politicamente corretto – dice – è diventato uno strumento di controllo sociale, un modo di distinguersi dai bifolchi e di censurarli, di delegittimare la loro visione del mondo in nome della morale. Ormai la gente deve fare attenzione a ciò che dice. E va di male in peggio soprattutto nelle università. La forza di Trump nasce probabilmente dall’aver rotto con questa cappa di piombo».
Parole che a noi scendono giù come un balsamo. Wolfe parla di «una sinistra che si è ampiamente liberata di qualsiasi empatia per la classe operaia americana. Una sinistra che adora l’arte contemporanea, si identifica in cause esotiche e nella sofferenza delle minoranze, ma disprezza i redneck dell’Ohio». Insomma se fosse vissuto a Roma, avrebbe pensato ai signori con la casa a via Giulia e i figli al Virgilio, o alle signore Crespi di corso Venezia a Milano. Che resistono, ed esistono ancora. Il mondo che sfila per l’accoglienza a Milano, non rendendosi conto di come vivano gli italiani; gli intellettuali che considerano razzisti coloro che sono contro lo ius soli; gli indignati
contro il fascismo, l’orda nera della politica europea, ritenuto una seria minaccia e non più banalmente la risposta trumpiana, appunto, all’incapacità delle attuali classi dirigenti di dare una risposta ad una società e ad un mercato che stanno cambiando rapidamente. Insomma Wolfe ce l’ha con il pensiero di Repubblica e con i suoi intellò di riferimento che sono evidentemente talmente abituati a mascherarsi di fronte ai propri lettori che lo fanno anche di fronte a se stessi. Altrimenti, perbacco, dalle parti di Repubblica si dovrebbero fare un bel esamino di coscienza.
Resta il piombo di una grande intervista e l’onore a chi l’ha pubblicata. Solo Tom Wolfe, riguardo alle recenti polemiche sul caso Weinstein e #MeToo, ha il sangue freddo per notare: «Nessuno si prende la briga di definire esattamente cosa si intende per aggressione sessuale. Improvvisamente ci troviamo in opposizione con le leggi naturali dell’attrazione che ora bisognerebbe ignorare le donne dispongono di un potente strumento di intimidazione che prima non avevano. Adesso possono rimettere al loro posto gli uomini le cui attenzioni sono troppo estreme o che esse giudicano troppo volgari, possono eliminare un rivale sul piano professionale o magari vendicarsi di un amante troppo mascalzone». Wow. Due pagine della cultura di Repubblica dedicate ad uno scrittore che, per i canoni del quotidiano che lo ospita, in tema di donne è decisamente «fascista», come è ritornato ora di moda definire chi non la pensa come te. O come la furia politicamente corretta pretende. Evviva Tom Wolfe, evviva i suoi radical chic, evviva le sue donne che possono fregare l’amante per fare carriera, evviva Repubblica che celebra l’emblema della sua disfatta.