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 2018  gennaio 03 Mercoledì calendario

La corsa precaria dei mercati

La sera delle elezioni del 2016, ho ceduto per un po’ a una tentazione: ho lasciato che i miei sentimenti politici distorcessero le mie capacità di giudizio in fatto di economia. Un uomo davvero pessimo aveva appena conquistato la Presidenza e il mio primo pensiero è stato che questo si sarebbe presto tradotto in un pessimo andamento economico. Ho ritrattato subito e ho pubblicato un mea culpa. Ciò a cui avrei dovuto aggrapparmi era il teorema secondo cui in tempi normali il presidente ha scarsa influenza sugli sviluppi macroeconomici, infinitamente meno di chi presiede la Federal Reserve.
Il teorema, però, smette di essere vero quando l’economia è talmente depressa che la politica monetaria non fa più presa, come capitò nel 2009-2010. In quel caso contò moltissimo che Obama fosse propenso a impegnarsi a favore di uno stimolo fiscale. Nel primo anno della presidenza Trump gli sviluppi economici negli Stati Uniti sono stati simili a quelli di altri paesi avanzati. L’Europa, in particolare, almeno per il momento, sta crescendo in modo stabile. Ne consegue che siamo vivendo in un’epoca di agitazione politica e di calma economica.
Durerà?
Io sono dell’opinione che quasi certamente questa situazione non potrà durare, perché il ritorno alla normalità è fragile. Prima o poi qualcosa andrà storto, e a quel punto saremo in condizioni davvero precarie per poter reagire. Non posso dirvi però che cosa sarà quel “qualcosa”, né quando si verificherà.
Il nocciolo della questione è che mentre oggi le economie avanzate più importanti se la stanno cavando più o meno bene, in verità lo devono a tassi di interesse molto bassi rispetto agli standard storici. Tutti gli indicatori lasciano intendere che le nostre economie hanno davvero bisogno di questi tassi bassi, anzi bassissimi, per arrivare più vicino possibile alla piena occupazione. E, a sua volta, questo significa che “normalizzare” i tassi, alzandoli e riportandoli ai loro livelli storici, sarebbe un errore tremendo, tale da provocare una recessione.
Tenuto conto però che i tassi sono già bassi ora che le cose vanno abbastanza bene, sarà difficile che le banche centrali possano predisporre una risposta efficace se e quando dovesse accadere qualcosa di non altrettanto positivo. E se in Cina qualcosa andasse storto? E se una seconda rivoluzione in Iran provocasse un’interruzione delle forniture di petrolio? E se si scoprisse che le azioni nelle società tecnologiche sono in una bolla comparabile a quella del 1999? E se Bitcoin iniziasse ad acquisire un peso sistemico prima che tutti si rendino conto della sua assurdità? Non sto facendo previsioni su questi eventi e, quando arriverà il prossimo grande shock, quasi certamente lo farà da una direzione alla quale non ho mai pensato. In ogni caso, quando arriverà, avremo bisogno di una risposta efficiente e coerente da parte di tutti i massimi funzionari. Provate dunque a immaginare che un evento di questo tipo si verifichi presto. Quanta fiducia vi sentite di riporre in Donald Trump? Quanta leadership riuscirebbe a esercitare in un’Europa frammentata un’Angela Merkel indebolita?
Pensavate che simili preoccupazioni stessero esercitando il loro peso sui mercati anche adesso. E invece gli investitori sono in modalità “perché-mai-preoccuparsi?”. Non resta da sperare che abbiano ragione e che, quando accadrà qualcosa, in carica ci siano amministratori che non farneticano.