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 2018  gennaio 03 Mercoledì calendario

Intervista a Davide Tabarelli (Nomisma Energia): «Le compagnie alla ricerca del greggio perché fra 2 anni nel mondo tornerà a mancare»

Perché l’Eni comincia a trivellare proprio adesso a Spy Island? Nel mondo non c’è già sovrabbondanza di petrolio? O forse questa mossa segnala che il mercato sta cambiando, come testimonia la ripresa del prezzo del barile?
«Di recente, ogni volta che Shell, Bp o altri hanno annunciato nuovi investimenti e nuove scoperte di giacimenti, le Borse hanno premiato le loro azioni» risponde Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia. «Invece negli anni dopo il 2014, con i petrolio a basso prezzo e una sovrabbondanza di offerta sulla domanda, le Borse apprezzavano le compagnie petrolifere solo se ristrutturavano e tagliavano gli investimenti. Adesso gli analisti cominciano a indirizzare i risparmiatori verso il comparto petrolifero».
Perché?
«Perché guardano avanti. A parte l’alta tecnologia, non ci sono settori che diano prospettive di redditività alta come il petrolio. In questi anni nel mondo sono venuti a mancare investimenti in trivellazioni per centinaia di miliardi ed entro un paio d’anni ci sarà penuria globale di greggio».
Nonostante il boom dello «shale oil», il petrolio americano alternativo?
«La crescita produttiva dello “shale oil” è forte, ma la domanda mondiale di greggio cresce di più. Le scorte stanno rapidamente calando. Il barile Wti americano a 60 dollari e il Brent europeo a 67 sono quotazioni storicamente basse: l’economia globale è in grado di pagare 100 e più dollari al barile, come faceva qualche anno fa e come tornerà a fare».
Però il riequilibrio fra domanda e offerta si deve anche all’intesa fra produttori per ridurre l’estrazione. Dubbio: l’accordo fra Arabia Saudita e Iran non è fragile?
«L’intesa fra Arabia e Iran è molto solida, perché tutte e due hanno un interesse vitale a far risalire il prezzo del petrolio, anche se nel frattempo si combattono su ogni altro fronte. E al loro accordo si è aggiunta la Russia con motivazioni altrettanto forti».
Ma se il presidente Trump denuncia l’intesa nucleare con l’Iran quali saranno i contraccolpi in tutto il mondo?
«Nessun contraccolpo, per quanto riguarda il petrolio, anzi la spinta all’aumento di prezzo sarà anche maggiore. Quando l’Arabia ha pilotato il crollo dei prezzi del petrolio voleva mandare fuori mercato i produttori di shale oil americano, ma voleva anche punire l’America di Obama per l’accordo nucleare con l’Iran,e mandare fuori mercato lo stesso Iran nel timore che si rafforzasse troppo. Ma adesso che Trump ha chiarito la politica estera americana, indicando di nuovo nell’Iran il nemico, l’Arabia non avrà motivo di riprovarci. Quanto all’Iran, non avrebbe né l’interesse né la forza per provocare un crollo del greggio facendo saltare l’accordo fra produttori».
Torniamo all’Eni in Alaska. Siamo sicuri che dal punto di vista ambientale si possa stare tranquilli?
«In America le regole sono, in effetti, meno rigorose di quelle europee. Ma l’attenzione per l’ambiente c’è».
Un risvolto tutto italiano: come mai la società di ingegneria Saipem, partecipata dall’Eni, non è stata coinvolta in Alaska?
«Saipem ha contribuito alla costruzione di impianti artici più grandi e difficili, come il Goliat nel mare di Barents. Ma a proposito del Goliat e di certe assurdità ambientaliste: la Norvegia ha preteso di usare sul Goliat solo energia elettrica portata da terra con un cavo di 100 chilometri, anziché produrla in loco con un po’ del gas estratto. Questa imposizione è insensata sia dal punto di vista economico sia da quello ambientale».