la Repubblica, 3 gennaio 2018
La finzione dei difensori
La valanga di rincari, dalla luce alle autostrade, che nel nuovo anno ha puntualmente investito le famiglie, non può non sollevare un interrogativo sul ruolo delle autorità indipendenti. Assolvono con serietà il compito assegnato loro dalla legge, ovvero la difesa dei cittadini da eventuali soprusi dei monopolisti dei servizi pubblici? A giudicare da ciò che accade i dubbi sono assai consistenti.
Dal 2011, quando è entrata in carica l’authority per l’Energia attualmente presieduta da Guido Pier Paolo Bortoni, la bolletta elettrica tipo è cresciuta del 21,1%, contro un’inflazione del 5,4%. L’aumento reale è stato cioè del 15,7%, nonostante il costo dell’energia sia diminuito dell’ 1,7%. Nel frattempo, però, il prezzo del trasporto e della gestione del contatore è salito del 59,1% e quello degli oneri di sistema (fra cui gli incentivi alle fonti rinnovabili) addirittura del 95,4%. Voci che hanno poco a che fare con la produzione dell’energia, ma destinate a rimpinguare i bilanci delle grandi aziende statali e locali quotate in Borsa, il portafoglio di quanti si sono lanciati nel business del fotovoltaico e dell’eolico, nonché le tasche di certi speculatori che si arricchiscono con il business dei cosiddetti certificati bianchi. Il tutto caricato sulle spalle degli utenti.
Idem per il gas. La bolletta in questo caso è scesa in sette anni del 4,5%. Benissimo. Se non fosse che dal 2011 il calo del prezzo della materia prima ha toccato il 90,9%. Venti volte la riduzione del costo finale, tanto che il suo peso sulla bolletta è sceso dal 35,6 al 3,38%. E il resto? Semplice. I costi di “infrastruttura” e di vendita sono raddoppiati (+100,4% e + 99,5%).
Sarebbe doveroso che qualcuno ci spiegasse come questo si concilia con la missione affidata dal Parlamento all’autorità per l’Energia. Cioè quella di definire «un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori». C’è scritto proprio così nell’articolo 1 della legge che ha istituito questa authority e il Garante delle comunicazioni nel lontano 1995. Lo stesso provvedimento aveva previsto inizialmente anche una terza autorità, quella dei trasporti, saltata però in seguito a pressioni lobbistiche. Così pesanti che la sua nascita è stata ritardata di ben 18 anni. Quando poi si è deciso che era arrivato il momento, hanno pensato bene di metterle in mano armi spuntate.
Basta dire che nel provvedimento con il quale è stata creata l’autorità per i Trasporti è esplicitamente previsto che dalle sue competenze in materia di tariffe autostradali sono escluse le concessioni in atto fino alla loro scadenza. E siccome per la gran parte di esse è ben lontano il fatidico momento ( quelle della società Autostrade scadono nel 2038), ne consegue che l’authority non può mettere bocca su niente. La prova? Da quando è stata istituita, nel 2013, non ha mai deciso un solo intervento sui pedaggi. Che continuano inesorabilmente a crescere. A partire dalla privatizzazione della rete del gruppo Iri, nel lontano 1999, le tariffe sono salite in media di circa il 75%, il doppio di un’inflazione calcolata dall’Istat nel 37%. Non è iniziato un solo anno senza che il primo gennaio fosse accompagnato da un rincaro dei pedaggi, grazie a concessioni scritte nel passato in modo tale da far gravare sugli automobilisti il costo totale degli investimenti. Fermo restando il profitto garantito per i concessionari.
Alla faccia del rischio d’impresa e della regola del price cap, secondo cui ogni aumento di efficienza dell’azienda che eroga servizi pubblici dovrebbe tradursi in un risparmio per gli utenti. Una regola, prevista addirittura espressamente nella legge istitutiva dell’authority per l’Energia (articolo 2, comma 18), che qui funziona al contrario. In un mercato finto, con sceriffi finti incaricati di far rispettare principi finti. Ma stabiliti, e qui è il problema, da leggi vere.