il Giornale, 3 gennaio 2018
L’invalicabile muro del 38° parallelo. Se anche lo sport è una partita persa
Aveva un poster di Jordan su ogni parete della stanza e una fantastica collezione di Nike. I suoi compagni di classe, ha fatto le scuole pubbliche nel Canton Berna, in Svizzera, raccontano Kim Jong Un, il «Brillante Compagno», il «Giovane Generale» o «Rocket man» come lo ha battezzato Trump centrando l’obiettivo, come un ragazzino divertente «sempre pronto a farsi una risata e a fare amicizia con tutti». «A scuola – racconta un altro – litigavamo solo per il calcio...». Quindi non fatevi illusioni.
Perchè sia con il «Brillante Compagna» che con il padre Kim Jong-Il «il Grande uomo disceso dal paradiso» e il nonno Kim Il-Sung «il Presidente Eterno» la diplomazia dello sport non ha mai funzionato se non per finta. Oggi ci sono due pattinatori su ghiaccio nordcoreani, Ryom Tae-ok e Kim Ju-sik che si sono qualificati per i Giochi invernali sudcoreani. Non sono iscritti solo perchè la federazione non lo ha fatto. Ma il bimbominkia comunista con il bottone nucleare sul tavolo pare abbia cambiato idea, a PyeongChang, nell’odiato sud, il mese prossimo ci vuole essere anche lui: «Sono una buona occasione per il Paese e speriamo sinceramente siano un successo» ha detto. Tanto basta per immaginare orizzonti di pace e disgelo. Non fidatevi.
Nemmeno la diplomazia del peluche ha funzionato nel paese più isolato del mondo: quando Pyongyang siglò un accordo con la Bbc per mandare in onda i Teletubbies, che nel loro infantile entusiasmo hanno molto delle folle che plaudono i «Cari leader», dicevano: «Servirà a migliorare la comprensione del mondo in una società così chiusa». Macchè. Ci provarono allora con Jong Song-ok, soldatessa dell’Armata del popolo, che alla fine del Millennio vince a sorpresa il mondiale di maratona. Dice: «É stata la visione di Kim Jong Il a guidarmi alla vittoria». Non aveva neanche una bandiera da sventolare a fine gara, fece il giro di campo con un fazzoletto bianco che le regalò uno spettatore. La Iaaf sognava di partire da lei per inventarsi una maratona che attraversasse il 38mo parallelo, il confine più militarizzato del mondo. Niente. All’inizio del nuovo millennio il nordista Kim Jong-il e il sudista Kim Dae-yung, si accordano per far marciare insieme le due Coree a Sidney e Atene. «Lo sport è la scorciatoia più efficace per arrivare a vere forme di unità tra i nostri due Paesi». I due capi dello sport coreano anni dopo invece si stringono la mano a Macao giurando che a Pechino 2008 sarebbe stata la volta buona. Balle.
Sembrò farcela il calcio nel 2002. Giocano un’amichevole, zero a zero, si parla di «partita che può cambiare la storia». Non avevano contatti dal 1991 quando spedirono una sola nazionale ai mondiali under 17, e anche allora si parlò di svolta. «Jo kuk tong Il» gridano sugli spalti, «una sola patria», Lee Young-pyo mostra una maglietta con su scritto: «Gesù ama la Corea del nord». Si illusero. Non ha sfondato Antonio Inoki, parlamentare giapponese, ma un tempo star del wrestling e dei fumetti, che in Corea è andato 32 volte. Così come Dennis Rodman, detto «The worm», il verme», ex asso Nba, che in Corea porta (a perdere) dieci vecchi rottamii del basket e che per l’amico Kim con cui «sciamo, andiamo a cavallo e cantiamo il karaoke» intona un «happy birthday to you» che manco Marilyn con Kennedy. Disse: «Voglio aprire una pagina di diplomazia del basket». Mai più visto. Forse bisogna provare con un poster di Jordan.