Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il presidente Napolitano non si è dimesso e non ha dato nuovi incarichi per la formazione del governo. Ha invece rimesso in carreggiata il governo Monti, finito su una specie di binario morto dopo le dimissioni del ministro degli Esteri Terzi, e chiamato a sé «due gruppi ristretti di personalità, diversi per loro connotazione» incaricati di formulare «precise proposte programmatiche oggetto di condivisione su temi di carattere economico e costituzionale». La lista dei nomi, resa nota nel pomeriggio, mostra un sapiente equilibrio destra-sinistra e persino un’attenzione al rapporto nord-sud. Nel secondo “gruppo ristretto”, alla presenza del leghista Giorgetti, nato a Cazzago Brabbia, provincia di Varese, fa da contrappeso il senatore Filippo Bubbico, democratico e originario di Montescaglioso in provincia di Matera. Che il capo dello Stato non avrebbe lasciato, così come avevamo insinuato noi giornalisti ieri mattina, s’è capito subito. Sceso in sala stampa all’una e dieci, Napolitano – abito scuro, cravatta blu a pallini, camicia a righe – è apparso persino scherzoso: «Vi porto la colomba pasquale» e agitava intanto i pochi fogli dove stava scritto il comunicato elaborato per tutta la mattina. Dal quale abbiamo appreso che resterà al suo posto fino all’ultimo giorno, cercando di servire al meglio il Paese. Questo ultimo giorno sarebbe teoricamente il prossimo 15 maggio, anche se le camere voteranno il successore prima. Sono convocate per il 15 aprile e Napolitano ieri si è augurato che la scelta del nuovo inquilino del Quirinale sia ampiamente condivisa. La mossa del capo dello Stato esclude il voto a giugno – si andrà alle urne caso mai in ottobre o tra un anno – ed esclude anche la propria rielezione, che sarebbe stata quasi indispensabile, invece, in caso di dimissioni date ieri. All’unica domanda che è riuscito a rivolgergli un giornalista, e relativa proprio alle elezioni anticipate, Napolitano ha risposto, abbastanza seccamente: «Non mi occupo di problemi che non posso risolvere oggi con le mie funzioni» altra conferma indiretta all’impossibilità della rielezione.
• Cominciamo dal governo Monti.
Ma è molto semplice. Invece di dare importanza al fatto che il governo in carica, in ogni caso dimissionario, non gode della fiducia di questo parlamento, si ponga mente al fatto che questo parlamento non ha comunque sfiduciato il governo in carica. È un rovesciamento logico, sottile ed efficace. Questo governo, ha ricordato il Presidente, «sta per adottare provvedimenti urgenti per l’economia, d’intesa con l’Unione europea e con l’essenziale contributo del nuovo Parlamento attraverso i lavori della commissione speciale presieduta dall’onorevole Giorgetti» (la V, cioè Bilancio e Tesoro: Giorgetti è un commercialista). Quindi il governo Monti, magari supportato dalle proposte dei due gruppi ristretti, potrà guidare Camera e Senato anche all’approvazione di una nuova legge elettorale.
• Sembra quasi che del governo non ci sia più bisogno.
È un punto su cui Napolitano ha dato ragione all’idea dell’altro giorno di Grillo, quella, intanto, di far funzionare il parlamento che c’è col governo che c’è. Se Monti si rianima – e deve rianimarsi – toccherà a lui negoziare nuove condizioni con l’Europa. Il documento di Napolitano gli ha dato il via libera, Grillo non potrà mettersi di traverso rispetto a un’idea che è sua, Pd e Pdl si rassegnino, mentre la situazione si decanta, a continuare nell’esercizio della «strana maggioranza». Non c’è problema su questo punto, evidentemente, con i montiani. Nel suo comunicato, in ogni caso, Napolitano invita i partiti a esprimere «piena consapevolezza della gravità e urgenza dei problemi del Paese […] per formare un valido governo» in tempi brevi. I “tempi brevi” avranno però bisogno di una nuova definizione, così come l’“ordinaria amministrazione” che compete al governo dimissionario, ma in carica e non sfiduciato.
• Veniamo alla vera novità di giornata, i «due gruppi ristretti».
A Sky, con un’intuizione molto felice, l’hanno subito chiamata “la bicameralina”. E in effetti… Il primo di questi due gruppi ristretti è formato dai senatori Gaetano Quagliariello (Pdl) e Mario Mauro (montiano, ma fino a poche settimane fa pidiellino) e dai professori Luciano Violante e Valerio Onida, tutti e due del Pd. Questi quattro dovranno occuparsi dei problemi politico-istituzionali, faccenda di cui tra l’altro Violante e Quagliariello, per le rispettive parti, discutono già, semisegretamente, da un anno e mezzo. Il secondo gruppo vede all’opera Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, Giovanni Pitruzzella, presidente dell’autorità garante della concorrenza e del mercato, Salvatore Rossi, del direttorio della Banca d’Italia, Giancarlo Giorgetti e Filippo Bubbico, citati più sopra, e il ministro in carica per gli Affari europei Enzo Moavero Milanesi. A questi competono riforme economico-sociali.
• Per formare una specie di bicamerale o delle commissioni non ci vorrebbe una legge?
Non c’è una legge e i due gruppi lavoreranno per l’amicizia che provano verso il Presidente. Tra l’altro, gratis. Siamo dunque totalmente fuori dalla Costituzione, senza però essere ancora contro la Costituzione. Ma è un discorso lungo, sul quale magari ci sarà occasione di tornare. È sicuro che i dieci si incontreranno col capo dello Stato martedì e che poi dovranno sbrigarsi, Napolitano vuole evidentemente mostrare ai partiti tanto incattiviti che ci sono molte idee condivise. In altri termini: invece di un uomo, il Capo dello Stato sta stilando un programma, che poi affiderà a un uomo, quasi sicuramente del Pd. Si prepara cioè più probabilmente un governo politico di larghe intese, come voleva Berlusconi, che un governo istituzionale e totalmente terzo, come volevano i democratici.
• Reazioni?
Tutti d’accordo, tutti entusiasti. Tranne bersaniani e affini che hanno fatto circolare dichiarazioni ringhiose. Bersani ha fatto finta di non capire: «Un governo di cambiamento e una convenzione per le riforme restano il nostro asse» che non è lo sbocco che si intravede alla fine del percorso tracciato da Napolitano. Zanda, capogruppo al Senato, francamente insoddisfatto: «La decisione del presidente Napolitano di restare al Quirinale fino alla fine del suo mandato è l’unico fatto politico positivo degli ultimi giorni». Gennaro Migliore, di Sel: «Non abbiamo capito quali sono gli intenti dei due gruppi dal punto di vista istituzionale». Invece, hanno capito benissimo.
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