Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  marzo 31 Domenica calendario

UN INCUBO DI MENO

I giornali di ieri titolavano tutti, in prima pagina e a piene colonne, sulle dimissioni del presidente della Repubblica dal suo incarico. I più benevoli attribuivano questa ipotetica ma probabilissima decisione ad un alto senso di responsabilità: impossibile varare un governo con maggioranza precostituita; la sola strada per Napolitano era dunque quella di porre fine al suo mandato accorciando di una decina di giorni la nomina del suo successore che, avendo il potere di sciogliere le Camere, avrebbe potuto influire sull’atteggiamento dei partiti oppure per metter fine alla legislatura appena eletta e ridare la parola al popolo sovrano. Ma non mancavano i malevoli: Napolitano abbandonava il campo lasciando la patata bollente al suo successore.
Non so da dove venisse questa pseudonotizia. So soltanto (e l’ho detto la sera di venerdì rispondendo ad una domanda della Gruber nella trasmissione “Otto e mezzo”) che chi conosce il nostro Presidente e la sua storia era certo che non è uomo che si sottragga alle responsabilità anche quando comportano fatica e sofferenza.
Napolitano sa benissimo che le sue dimissioni premature rispetto alla naturale scadenza del suo settennato, avrebbero gettato i mercati in grandissima confusione, avrebbero accresciuto la rissa tra i partiti e al loro interno, avrebbe annullato la credibilità internazionale del nostro Paese già abbastanza logorata dagli insuccessi politici che hanno fortemente indebolito l’immagine di Mario Monti. Nel suo recente viaggio a Berlino, il nostro capo dello Stato aveva rassicurato la cancelliera Angela Merkel sul fatto che l’Italia non sarebbe mai rimasta senza governo.
Le sue dimissioni avrebbero aperto un buco al Quirinale per almeno un mese senza che neppure si sapesse chi sarebbe stato il suo successore. Un mese non è poca cosa, senza contare che il nuovo capo dello Stato avrebbe dovuto riaprire le consultazioni per nominare un nuovo governo e poi, forse, sciogliere le Camere e aprire una campagna elettorale: altri tre mesi (a dir poco) di ulteriore insicurezza.
È vero che questi ultimi passaggi (salvo quello dello scioglimento delle Camere che resta pur sempre deleterio) dovranno comunque esser compiuti; ma le dimissioni anticipate e il vuoto che avrebbero aperto non sarebbero certo state un buon viatico.
Per tutte queste ragioni, che mi rendono moderatamente ottimista, sono stato felice ieri quando alle ore 13.27 ho ascoltato le parole di Giorgio Napolitano confermare che avrebbe rispettato la scadenza naturale del suo mandato, avrebbe nel frattempo preso tutte le misure opportune per facilitare il compito del suo successore ed avrebbe stimolato, firmato e promulgato tutti i provvedimenti urgenti che l’economia del Paese richiede, a cominciare dal decreto sul pagamento dei debiti che la pubblica amministrazione ha nei confronti delle imprese fornitrici di beni e servizi.
L’ho già detto più volte, ma lo ripeto ancora oggi: sarà molto difficile — purtroppo — trovare un successore dello stesso spessore e livello di questo, che cesserà dal suo ruolo il 15 maggio prossimo.
**** Un’altra strada avrebbe potuto seguire Napolitano, esclusa una volta per tutte quella delle sue dimissioni anticipate: avrebbe potuto nominare un nuovo governo senza politici di professione, un governo istituzionale che, una volta nominato, andasse in Parlamento a chiedere la fiducia e, qualora non l’avesse ottenuta, restasse comunque in carica per l’ordinaria amministrazione. Personalmente pensavo che questa sarebbe stata la via prescelta. Invece no.
Napolitano sperava di poterlo fare confidando che sia il Pd che il Pdl e forse perfino le 5Stelle facessero confluire i loro voti su un governo istituzionale che, ovviamente, non sarebbe stato il governissimo auspicato da Berlusconi.
Nel corso delle consultazionilampo seguite all’insuccesso del tentativo di Bersani, il Pd si è dichiarato disponibile a votare un governo istituzionale «di scopo» del genere di quello affidato nel 1993 da Scalfaro a Ciampi. Ma Grillo ha insultato (come sua turpiloquente abitudine) un’ipotesi di questo genere e Alfano, dopo aver ricevuto l’imbeccata dal suo padrone, ha detto che «il Pdl avrebbe appoggiato un nuovo governo purché fosse un governo politico con programma concertato dai partiti disposti a parteciparvi». Di fatto ha riproposto il governissimo che il Pd aveva già bocciato escludendolo dalle ipotesi negoziabili.
Avendo constatato che questo era l’insuperabile stallo, Napolitano ha scartato la nomina di un governo istituzionale lasciando in piedi il governo Monti. Ma c’è anche un’altra ragione, sia pure marginale:
un governo istituzionale senza maggioranza e quindi degradato all’ordinaria amministrazione sarebbe stato una difficoltà aggiuntiva per il suo successore al Quirinale. Di qui la decisione di restare nel suo ruolo prolungando la permanenza di Monti a Palazzo Chigi e procedendo alla nomina di un comitato che metta in luce i punti programmatici sui quali ci sia la concordia delle forze politiche rappresentate in Parlamento, tale da facilitare il lavoro che attende il suo successore.
**** Non si tratta affatto d’uno schiaffo ai partiti, che infatti saranno presenti nel suddetto comitato, di cui troverete i nomi nelle pagine del nostro giornale.
Va detto che le agenzie di stampa estere stanno già registrando la soddisfazione delle autorità europee, a cominciare da Mario Draghi che si è già complimentato con il nostro Presidente, nonché di molti nomi significativi delle forze economiche e internazionali. Insomma un boomerang di ottimismo che — si spera — sarà registrato martedì alla riapertura dei mercati. Ci sarà anche, nel comitato suddetto, il ministro Moavero per la sua competenza negli affari europei, e molte altre eccellenze del diritto e dell’economia.
Ho già detto che non si tratta affatto d’uno schiaffo ai partiti i quali però i loro problemi li hanno al proprio interno. Ed è questo che dobbiamo ora esaminare per completare il quadro. Cominciando con il Pdl.
Se lo stato maggiore fosse composto
da persone responsabili, inviterebbe
Berlusconi a ritirarsi dalla politica, togliendo in questo modo l’impedimento principale ad un accordo programmatico con gli altri partiti, evitando anche che il loro capo sia politicamente eliminato per via giudiziaria.
Non parlo del processo Ruby ma di quello sui diritti cinematografici di Mediaset che è già in fase di Corte d’Appello, la cui sentenza si avrà entro il prossimo maggio.
In prima istanza l’imputato è già stato condannato a quattro anni di reclusione e all’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici. Ove la Corte confermasse questa sentenza, il problema non si porrebbe più, per non parlare di Napoli dove la Procura, che aveva chiesto ma non ottenuto la procedura immediata, ha chiesto pochi giorni fa il rinvio a giudizio per via ordinaria. Se sarà concesso dal Gup, è un’altra tegola ancor più contundente che si prepara.
Purtroppo, il pacifico ritiro in pensione del Cavaliere non si verificherà perché lui non è il capo ma il padrone del suo partito, ed anche della Lega, ed è supportato da dieci milioni di elettori che sperano e credono ancora che Berlusconi gli regalerà un asino con le ali. Un Ippogrifo asinario. È la quinta volta che glielo promette e la colpa che gli impedisce un così meraviglioso regalo è dei magistrati e dei comunisti. Gli allocchi ci sono in tutto il mondo e non soltanto in Italia. Ma da noi purtroppo ce ne sono molti di più che altrove. Siamo fatti così e forse un po’ di alloccaggine c’è in ciascuno di noi. Pazienza.
Nel Pd la situazione è alquanto diversa ma qualche sintomo di tensione c’è anche lì, alimentato da alcuni
giornali e televisioni che hanno un (incomprensibile) interesse a tenerlo vivo.
Il Pd è diviso in molte correnti. Un tempo non c’erano, adesso ci sono e comunque esiste un “apparato” numeroso ma non molto rappresentativo degli elettori che sono anche per il Pd una decina di milioni. (Prima di queste elezioni erano circa quattordici e quelli del Pdl più di sedici).
Renzi aspetta il suo momento ed ha certamente una sua capacità di richiamo.
Cambierebbe alquanto i connotati del partito, ma un cambiamento ci vuole, come no?
Su posizioni fortemente diverse c’è Fabrizio Barca, attualmente ministro della Coesione nel governo Monti. Se domandi a Fabrizio che cosa vorrebbe fare quando questo governo avrà cessato di esistere, ti risponde che gli piacerebbe occuparsi del partito, al quale non è neppure iscritto ma verso il quale sente una profonda vocazione.
Per fare che cosa? Per cambiarlo, naturalmente. Non nella linea ma nella struttura. Come Renzi? No, in tutt’altro modo. Barca non vuole essere più ministro e tantomeno aspirante alla presidenza del Consiglio.
Vuole occuparsi del partito e cambiarlo, punto e basta.
Sono in vista nuvole per Bersani? Nella fase attuale non sembra. Se ne parlerà al congresso quando scadrà da segretario. Fino ad allora il partito sembra compatto ed è bene che tale rimanga.
Il movimento montiano di Scelta civica. Di fatto è diventato quantité négligeable.
Ci sono i sopravvissuti del Udc e Montezemolo con i
suoi circoli sul territorio.
Hanno preso, i montiani, 3 milioni di voti che in gran parte erano quelli dell’Udc e di Fini. La prossima volta ne prenderanno probabilmente meno salvo una eventuale implosione del Pdl che in parte (modesta) potrebbero approdare a Scelta civica.
Ma poi, last but not least, ci sono Grillo, Casaleggio e i loro otto milioni di elettori e gli eletti.
Non si può dire che Grillo sia un incidente di percorso, gli allocchi ci sono anche trai suoi (parecchi) ma ci sono anche quelli che vogliono rifare l’architettura della Repubblica. Come? Non è chiaro. Su base referendaria? Sì, ma fatta in Rete. In che modo? Non è chiaro neppure questo salvo su un punto: per ora dalla Rete (dal suo blog) parla soltanto Grillo, Casaleggio e i loro amici certificati; col passare del tempo le maglie della Rete saranno allargate (adelante, Pedro, cum judicio).
Gli eletti sono per ora alquanto smarriti, naturalmente col tempo matureranno.
Io li considero i nuovi barbari nel senso greco del termine: parlano un linguaggio diverso dal nostro. Chi parla un altro linguaggio ha anche un diverso pensiero e una diversa visione della società. Quale? Neanche loro lo sanno, si formerà passo dopo passo; oppure impareranno il nostro linguaggio e contribuiranno a cambiare senza distruggerla la nostra visione del bene comune.
Questo è stato il coraggioso tentativo di Bersani.
Sicuramente prematuro, ma la strada è quella, insegnar loro il nostro linguaggio e accogliere i contributi da loro proposti. E chi ha più filo da tessere faccia la tela.