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 2013  marzo 31 Domenica calendario

I FOOTBALLEURS DI NICOLAS DE STAËL


La prima volta allo stadio non si dimentica. Di giorno è bello, di notte è una folgorazione. Cammini in un budello di cemento armato, sali una ripida rampa di scale e all’improvviso ti ritrovi sulle gradinate, frastornato dal ruggito della folla: in alto le luci abbacinanti dei proiettori e il cielo nero, davanti migliaia di teste frementi - e laggiù un fazzoletto d’erba dove pulsano figure colorate. Nel 1952 le partite in notturna costituivano ancora una novità assoluta. La sera di mercoledì 26 marzo al Parco dei Principi di Parigi contro la nazionale di Francia venne a giocare la Svezia.

Si trattava di un’amichevole, ma importante, perché le squadre non si affrontavano dal 1935. Gli ospiti erano stati preceduti da una rispettosa ironia. La Svezia aveva raggiunto la finale ai Mondiali del 1950 (a danno dell’Italia). Ma da allora i migliori talenti erano emigrati all’estero, molti calciatori della nazionale erano dilettanti e inoltre d’inverno non si allenavano. I giornali diedero molto risalto all’avvenimento, preannunciato come un rito mistico. Pubblicarono artistiche foto in bianco e nero di altre partite giocate in notturna: il calcio diventava danza, il pallone una luna d’argento, i calciatori ballerini dalle movenze eleganti. Possibile che i pittori non si sentissero sfidati da un soggetto così? In Italia c’era stato un nobile precedente - il pioniere Umberto Boccioni, che si era interessato al dinamismo dei calciatori fin dal 1913. Ma il calcio in Francia non ispirava l’arte.

Invece quel mercoledì di marzo allo Stade de France, tra i moltissimi spettatori - che, scrisse un testimone, offrivano un colpo d’occhio impressionante, spalmati sulle gradinate come caviale - c’era anche un pittore.

Nicolas de Staël, considerato in quel momento il più promettente, dotato e originale artista del dopoguerra: la Francia gli aveva concesso la cittadinanza e lo aveva adottato. Russo di nascita, figlio di un generale zarista, di famiglia aristocratica costretta all’esilio dalla Rivoluzione bolscevica, orfano a otto anni, era cresciuto in Belgio. Aveva speso la giovinezza inquieta viaggiando in Europa e Africa del Nord, sperimentando e cercando di scoprire quale pittore voleva essere. Maturava con lentezza - solitario, ma attento alle creazioni degli altri. Nei tetri anni dell’occupazione nazista si era fatto apprezzare per alcune tele astratte, alquanto cupe e angoscianti.

Quella sera andò dunque allo stadio con la moglie Françoise. Alto, esotico, bellissimo, da ragazzo era stato un notevole sportivo, e si predisponeva semplicemente a gustare una partita di calcio. Gli svedesi giocavano in maglia gialla, calzoncini celesti e calzettoni a righe orizzontali, i francesi in divisa blu. I francesi, un po’ per sussiego, un po’ per scarso impegno, giocarono senza ispirazione e senza furore. Furono sopraffatti dalla velocità e dall’agonismo degli avversari. Gli svedesi impartirono ai calciatori e agli spettatori una lezione di tattica, tecnica e volontà. Segnarono una sola rete, di testa, all’83’, ma avrebbero potuto stravincere. Il pittore però trasformò la disfatta in arte.

Ossessionato dalla sarabanda delle maglie gialle svedesi intorno a quelle blu dei francesi, che si stagliavano colorate contro il buio, e dal movimento dei giocatori, che volteggiavano dimentichi di sé sul prato verde pisello sotto le luci artificiali dei proiettori, appena rientrato nello studio iniziò a dipingere: non la partita reale, che aveva visto, ma l’emozione indelebile che gli aveva lasciato.

In pochissimi giorni realizzò una serie di quadri di piccole dimensioni, tutti intitolati Footballeurs - un poema sportivo per frammenti che sta alla pittura come il ciclo di sonetti sul calcio di Saba alla poesia. In essi, de Staël coronava il progressivo ritorno alla figura - alle forme che da qualche mese si erano riaffacciate nella sua opera. Cioè, abbandonava l’astrazione pura, proprio quando lo stavano etichettando come il contraltare europeo di Pollock. Trasformò i corpi dei calciatori in masse di colore, un mosaico di riquadri pennellati con la spatola - come qualche tempo prima aveva fatto coi tetti di Parigi. Nello spazio appiattito, è l’alternanza dei colori a creare movimento. I Footballeurs sono tutti simili e tutti diversi. Qualcuno più semplice, più vicino alla realtà, qualcuno più visionario. Nel quadro di Aix, le sagome dei calciatori, le teste, le gambe, i calzettoni, l’erba, sono ancora riconoscibili, braci di colore che ardono sul muro nero della notte. Infine de Staël dipinse il più grande della serie, lo intitolò Stade de France e passò oltre.

La serie dei Footballeurs lo aveva come liberato. In tre anni dipinse con furore centinaia di quadri - sempre più grandi, sempre più luminosi ed essenziali - in cui però le forme e le figure restavano sempre leggibili. Inventò una pittura di colore e luce. Per un nudo, gli bastava qualche linea sinuosa e due colori, per le ali dei gabbiani qualche virgola di bianco. Dipinse così bottiglie, fiori, paesaggi, finestre. Divenne un maestro del colore, come Matisse. Divenne ricco, riebbe la vita che gli era stata strappata dalla storia - e all’improvviso se la tolse. Lui che aveva definito lo spazio della pittura un muro, dove però volano liberi gli uccelli del mondo, scelse una morte aerea, verticale, lanciandosi nel vuoto a quarantun anni.

Non so se De Staël amasse particolarmente il calcio. Il calcio è strategia e imprevedibilità, tecnica ed estro, tattica e occasione, esercizio e applicazione ma anche talento e genio. Qualità che anche lui possedeva. In una partita, il caso svolge un ruolo decisivo. Anche lui credeva nel caso, aveva fede nell’ispirazione, nell’azzardo, nel rischio. Bisogna lavorare, aveva scritto a un amico: ci vuole una tonnellata di passione e cento grammi di pazienza. La pazienza era finita, la passione - per la pittura, per la materia, per la luce - l’ha consegnata a noi..