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 2013  marzo 31 Domenica calendario

SVEN, LA PRIMULA ROSSA DELLO SPAM “COME ASSANGE, IO COMBATTO PER LA LIBERTÀ”

LONDRA — Lo chiamano “il Principe dello Spam”. Ma lui preferisce il titolo, semi-autoironico, di “ministro delle Telecomunicazioni e degli Affari Esteri della Repubblica del Ciber-Bunker”. Il suo vero nome è Sven Olaf Kamphuis. È olandese, ha (circa) 35 anni ed è sospettato di essere l’artefice, alla testa di una banda di hacker, dell’attacco cibernetico che questa settimana ha rallentato e minacciato di mandare in tilt i siti e i collegamenti web di mezzo mondo. La procura dell’Olanda ha aperto un’indagine nei suoi confronti. Giornali e televisioni americani ed europei cercano di intervistarlo. Ma lui è apparso fugacemente in streaming da un anonimo internet cafè, ha lasciato qualche traccia su una pagina Facebook e poi è scomparso. Si dice che sia – perlomeno fisicamente – ad Amsterdam, a Berlino o a Barcellona. Digitalmente, è qui e là, in ogni luogo e da nessuna parte, inafferrabile come una primula rossa (o forse nera) della rete informatica.
Una cosa è certa: sono personaggi così, oggi, a popolare gli incubi della sicurezza online. E l’assalto di cui Sven Olaf sarebbe stato protagonista, o vittima, poiché neanche il suo ruolo nella vicenda è chiaro, disegna gli scenari delle “Spam Wars”, le guerre combattute attorno alla moltitudine di messaggi commerciali, pubblicitari o comunque non desiderati da chi li riceve che ingombrano le caselle della nostra posta elettronica: conflitti che vedono da un lato società di server imperscrutabili, dall’altra pirati informatici animati da uno spirito ribelle, ma le cui conseguenze possono mandare K.O. l’intero web, paralizzando il pianeta come, o più, delle temute “guerre stellari” a colpi di missili balistici dell’epoca della Guerra Fredda.
A sottolineare la gravità del rischio e l’importanza del “Principe dello Spam” ha contribuito ieri il
New York Times, che lo ha sbattuto in prima pagina, anche nella sua edizione globale, l’International Herald Tribune, dandogli la priorità rispetto alle ambizioni presidenziali di Hillary Clinton e alle farneticazioni nucleari del dittatore nord-coreano. Chi è dunque Khampuis e cosa vuole? Di sicuro è il fondatore e presidente della CyberBunker, server olandese che ospita e diffonde le email di decine di società che trasmettono spam di ogni genere, “tranne pornografa e terrorismo”. Esperti olandesi dei sistemi di sicurezza per computer, interpellati dal quotidiano newyorchese, lo descrivono come una sorta di lupo solitario con brillanti capacità di programmatore di software. Sulla sua pagina di Facebook lui dà di sé un’immagine da “freedom fighter del web”, un combattente per la libertà online, una specie di Julian Assange (il fondatore di Wikileaks) del digitale, sebbene con opinioni politiche confuse o contraddittorie: gli piace la musica heavy-metal, difende la legalizzazione della marijuana, odia le autorità e i “complotti ebraici”. Il suo avversario, nei giorni scorsi, è diventato la Spamhaus, gruppo di hacker che si prefigge lo scopo di smascherare gli spammer e ostacolarli. Senonché, davanti a un tentativo di fermare la Cyber Bunker (che hasede in un vecchio bunker della guerra fredda – da cui il nome), quest’ultima ha risposto attaccando la Spamhaus con un’offensiva di intensità straordinaria, tale che, invece di colpire soltanto gli hacker, ha messo in crisi ampi settori del web, con utenti di molti paesi che non riuscivano più a collegarsi alla rete o a scaricare la posta. “E’ come un cannone impazzito”, dice di lui Erik Basis, proprietario di un server che ha lavorato con la CyberBunker, “non ha riguardi per i danni collaterali”. Spara nel mucchio, per così dire, e pazienza se tra le vittime ci sono degli innocenti. Sven accusa gli hacker di Spamhouse di ergersi a censori del web senza che nessuno li autorizzi: “Sono ricattatori e diffusori di menzogne ebraiche”, afferma con linguaggio che odora di antisemitismo.
La procura olandese ha ora aperto un’inchiesta sul suo operato, per stabilire se è colpevole di qualche reato. Lui nega di avere ordinato l’attacco che ha fatto tremare internet, ma un altro server con base nei Paesi Bassi dice al New York Times di avere trovato “tracce digitali” di una società legata a Khampuis nel traffico diretto contro Spamhaus. Per il momento, tuttavia, il “Principe dello Spam” rimane irreperibile. È l’Assange del web o un fanatico pericoloso? La risposta si nasconde da qualche parte sulla rete.