Virginia Piccolillo, Corriere della Sera 31/03/2013, 31 marzo 2013
«È UN PASTICCIO ISTITUZIONALE: COSI’ SI INSTAURA IL PRESIDENZIALISMO» —
«Se durerà solo tre giorni diremo: evviva l’originalità. Ma se andremo alle elezioni del nuovo presidente con questo ibrido istituzionale rischieremo grosso». Paolo Cirino Pomicino, da politico navigato della prima Repubblica, mette in guardia sulla soluzione escogitata dal capo dello Stato per tentare di uscire dallo stallo istituzionale.
Cosa teme?
«Se noi sommiamo un pasticcio istituzionale a una guerra politica, il Paese rischia di esplodere».
In realtà il presidente ha solo istituito due commissioni di saggi per formulare proposte utili.
«Sì. Ma questo prefigura un presidenzialismo di fatto alla francese. So, per certo, che ci ha pensato molto a lungo. E riconosco la bontà d’intenti. Ma così uniamo un’altra anomalia alla situazione di impazzimento generale».
Quale?
«Un governo che resta in carica malgrado non abbia la fiducia né del vecchio né del nuovo Parlamento».
La sfiducia non è mai stata votata.
«Ma c’è stato lo scioglimento anticipato delle Camere. E il governo sfiduciato diventa semplice esecutore delle spinte a convergere del presidente e dei suoi saggi. Un’anomalia che deve durare qualche giorno».
Altrimenti?
«Se il presidente che fa l’esploratore allunga questa fase, finisce per fare anche il governo. E se arriva al 15 aprile intercetta le elezioni presidenziali e il pasticcio si fa ancora più grosso».
L’alternativa di Napolitano erano le dimissioni?
«Sarebbe la soluzione migliore. Il nuovo presidente avrebbe la legittimazione che Napolitano, in scadenza, non ha più. Magari si potrebbe pensare a una sua rielezione, come soluzione temporanea nei fatti: lui ha già detto di voler lasciare».
Non crede si sia voluta evitare una nuova crisi dei mercati?
«Certo. Ma non esageriamo a compiacere i mercati. Abbiamo già attraversato crisi simili».
A quando si riferisce?
«Nel 1976 dovemmo dare l’oro della Banca d’Italia, come impegno alla Bundesbank, per ottenere un prestito per pagare gli stipendi mentre il terrorismo lasciava ogni giorno morti e feriti sulle strade. Ma, in piena guerra fredda, Pci e Dc trovarono un’intesa».
Non è un po’ lontano come riferimento?
«Non voglio passare per un nostalgico. Dico che quelle forze popolari non potevano non trovare un’intesa per non mandare il Paese alla malora. È accaduto anche 10 anni fa in Germania quando la crisi rischiava di incancrenirsi e hanno fatto la Grande Coalizione. Anche la Grecia sta tentando di uscirne con la ricerca di un minimo comun denominatore».
È un ultimo appello al Pd per allearsi con il Pdl?
«Ma certo. Non è che se c’è uno impazzito debbano impazzire tutti. Bersani avrebbe dovuto fare ciò che fece Moro: un governo monocolore Dc con accordo per l’astensione di Berlinguer».
Se la leadership pdl fosse stata diversa?
«Se mio nonno avesse le ruote... Non c’è dubbio che la presenza di Berlusconi ha complicato l’accordo. Ma il dato di realtà è questo. Il Pd ora rischia di dover dare la fiducia a una personalità individuata dal presidente, che per formare un governo dovrà avere la fiducia del Pdl. Quindi gli concederà ciò che non ha concesso al suo segretario Bersani. Non è ora di smetterla con questa sorta di cupio dissolvi?».
Virginia Piccolillo