Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 31/03/2013, 31 marzo 2013
IL CAMMINO DI PIETRO
Presentata come «la mostra dell’Anno della fede», quella dedicata a «Il Cammino di Pietro» assume, dopo le dimissioni di Benedetto XVI e l’elezione di papa Francesco, un significato più profondo. L’esposizione ripercorre infatti i momenti di sconforto e quelli di speranza vissuti dal primo apostolo e di riflesso anche dai suoi successori sul sacro soglio. Aperta a Castel Sant’Angelo fino al primo maggio, attrae i fedeli di tutto il mondo che transitano in questo periodo verso la basilica vaticana per salutare il nuovo pontefice. Protagonista della rassegna è la fede, che, come spiega il curatore don Alessio Geretti, «non viene definita, non viene dichiarata attraverso concetti, ma è l’attore unico della scena, la causa evidente delle passioni, delle intuizioni, dei momenti neri di fatica e crisi, di lacrime di dolore e lacrime di gioia, di gesti azzardati e gesti eroici, che costituiscono passo passo il cammino, la vicenda dell’uomo e del testimone più decisivo al mondo per la fede dei cristiani: l’apostolo Pietro». E attraverso la fede si racconta la storia della cristianità, dal momento in cui Pietro incontra Cristo sul lago di Tiberiade fino al suo martirio nel luogo dove oggi sorge la basilica che segna la fine del cammino terreno dell’apostolo e appare di colpo ai visitatori al termine del percorso espositivo, dagli spalti del Castello.Per accogliere i visitatori don Geretti ha scelto un quadro che rappresenta san Pietro nell’atto di benedire un pellegrino, dipinto da Vitale degli Equi a metà del Trecento, ovvero nell’ultima fase della produzione dell’artista, meglio noto come Vitale da Bologna. Dal punto di vista estetico, la tavola risente della raffinata cultura gotica d’oltralpe, che era arrivata a Bologna durante la legazione del cardinale Bertrando dal Poggetto e della sua corte e che Vitale reinterpretò in una forma del tutto originale, mescolandovi le componenti autoctone dell’arte bolognese. Ma il criterio con cui il curatore ha scelto questa e le opere a seguire non è quello adottato in genere dai critici o dagli storici. Il suo obiettivo era di dar voce alla missione per cui queste opere furono pensate e volute: «Cancellare la distanza di tempo e di spazio che separa noi dagli eventi documentati nei Vangeli, per farcene diventare contemporanei». I capolavori dell’arte sacra rendono qui omaggio alla trasformazione dell’uomo generata da un sentimento di fede quasi viscerale. Le scene della vita di Pietro e la sua trasformazione da pescatore in discepolo di Cristo sono intrise di emozione, raccontate da una quarantina di artisti, in gran parte seguaci di Caravaggio, perché chi meglio di loro poteva rendere i chiaroscuri delle miserie dell’uomo e dell’estasi raggiunta dopo la rinascita e la salvezza?In «Pietro rinnega Cristo» di George de la Tour, considerato uno dei notturni più belli della storia dell’arte, si rivive così lo smarrimento dell’apostolo che per tre volte rinnegò il suo Maestro nel cortile della casa di Caifa, mentre il Sinedrio concludeva il processo che avrebbe mandato Gesù sulla croce. Un altro caravaggista, Gerrit van Honthorts, colpisce lo spettatore con la luce che irrompe nella scena insieme all’angelo venuto a liberare san Pietro dal carcere. Eugène Burnard ci fa partecipi dell’ansia che rende vibranti i volti di Pietro e Giovanni, diretti all’alba verso il sepolcro vuoto, sconvolti e confusi dal racconto di Maria di Magdala sulla scomparsa del corpo di Cristo. Si viene rapiti nel paradiso creato con i fondi d’oro dal trecentista Lorenzo Veneziano che coglie Pietro nell’attimo in cui consegna le chiavi a Cristo. Si resta a meditare davanti al misticismo emanato dalle numerose icone, provenienti dalla cristianità d’Oriente e arrivate in mostra a rappresentare la fraternità di tutti i discepoli di Cristo, al di là dei vari scismi e dottrine che nel tempo hanno diviso la Chiesa.
Lauretta Colonnelli