Stefano Bartezzaghi, la Repubblica 31/3/2013, 31 marzo 2013
LA LEGGENDA MALEVOLA SU MIA MARTINI
Nel 2006, quando il precariato era già una realtà
drammatica ma se ne parlava molto meno, il poeta e scrittore Aldo Nove scrisse un libro intitolato: Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese. Era il più lungo dei suoi titoli. Ora ha scritto Mi chiamo... (Bompiani), come se il titolo abbreviasse quello del libro precedente.
Ma i tre punti di sospensione non sostituiscono nulla. A rivolgerci la parola è infatti la voce di Mia Martini, la cantante che negli anni precedenti alla sua morte tragica molti avevano smesso di nominare. Si diceva che già le sue generalità portassero sfiga, una di quelle spiritosaggini che finiscono per costituire una vera interdizione sociale e sostituire la leggenda malevola all’identità di una persona.
Mimì, come il Totò della Patente: il mito della iella, come tutte le superstizioni e le credenze irrazionali, non è stato affatto indebolito da qualcosa come il progresso.
Si è anzi rafforzato e dai tempi di Luigi Pirandello a quelli di Aldo Nove ha trovato mezzi di propagazione molto più efficaci del sussurro a mezza voce. La sospensione dopo il “Mi chiamo” ne è la più efficace rappresentazione letteraria possibile.