Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 31/03/2013, 31 marzo 2013
Tags : Anno 1901. Raggruppati per paesi. Nessun paese
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO QUANDO AL GOVERNO C’ERA GIOLITTI
In una recente risposta, lei ha affermato che «l’era giolittiana fu una fase storica in cui l’Italia fece considerevoli progressi». Potrebbe approfondire l’argomento anche in relazione al periodo del
boom economico?
Pietro Paolo Marcucci
piermar@fastwebnet.it
Caro Marcucci, mentre si apprestava a sciogliere le Camere per le elezioni del 1909 (un compito che spettava allora, di fatto, al presidente del Consiglio) Giovanni Giolitti fece una radiografia economica dell’Italia confrontando il consuntivo dell’esercizio 1900-1901 con quello dell’esercizio 1907-1908. Le entrate erano aumentate di 214 milioni di lire, le spese per l’educazione erano quasi raddoppiate (da 49 a 85 milioni), il prodotto lordo delle ferrovie era passato da 297 a 434 milioni, l’importazione di carbone fossile (principale fonte di energia per l’industria nazionale) da 5 milioni a 8 milioni e trecentomila, i depositi bancari da 2957 a 5237 milioni, le riserve metalliche da 577 a 1450 milioni di cui 1177 in oro. Non esistevano dati altrettanto precisi sull’aumento dei salari, ma Giolitti disse che «in molte parti d’Italia, specialmente per i lavoratori della terra, erano raddoppiati». A queste cifre molto positive corrispondeva una maggiore credibilità dell’Italia sui mercati finanziari. La somma pagata all’estero per gli interessi sul debito pubblico era considerevolmente diminuita: da 76 a 27 milioni.
Nel mondo del lavoro vi erano stati molti scioperi (che Giolitti aveva affrontato dando prova di grande equilibrio), ma il clima era più disteso e il governo si riprometteva di estendere ad altre categorie la legge del 1907 sul contratto collettivo e l’arbitrato obbligatorio per i lavoratori delle risaie. Quanto al futuro, Giolitti annunciò una sorta di agenda in cui erano elencati i settori in cui sarebbe stato necessario investire impegno e denaro: istruzione (in particolare istruzione tecnica), agricoltura, utilizzazione delle forze idrauliche per ridurre l’importazione di carbone, rimboschimento dei monti e sistemazione dei maggiori fiumi, miglioramento dei trasporti e dei servizi postali, riforma della procedura penale, troppo macchinosa e inutilmente teatrale.
Ciascuna di queste riforme avrebbe richiesto una maggiore spesa pubblica, ma Giolitti ammoniva che i risultati sarebbero stati precari e illusori se il governo non avesse tenuto d’occhio fermamente il pareggio del bilancio. Non basta. Perché l’Italia continuasse a crescere occorreva fare una politica estera fondata sulla «cordiale amicizia con tutte le potenze». Intendeva dire che nulla avrebbe danneggiato lo sviluppo economico e civile del Paese quanto il suo coinvolgimento in una guerra europea. L’era giolittiana, caro Marcucci, terminò il 24 maggio 1915 quando il variegato fronte degli interventisti, dal re a Mussolini, da Luigi Albertini a Giuseppe Prezzolini e Gaetano Salvemini, precipitò l’Italia nel conflitto.
Sergio Romano