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 2013  marzo 31 Domenica calendario

Il terribile presentimento colse Guido Mattioni al giornale - questo giornale - nella tarda serata del 3 gennaio 2002

Il terribile presentimento colse Guido Mattioni al giornale - questo giornale - nella tarda serata del 3 gennaio 2002. La moglie Paola, consulente aziendale di successo che aveva sposato nel 1981 ed era gravemente malata da due anni ma non in pericolo imminente di vita, non gli rispondeva né al telefono fisso né al cellulare. Il tempo di uscire di corsa dalla redazione, raggiungere casa e aprire la porta: «Era riversa sul pavimento, morta già da due ore, con la gatta accanto a vegliarla. Ti lascio immaginare...». Da grande cronista qual è, Mattioni in realtà non ha voluto lasciare niente all’immaginazione e, trascorso un decennio, ha ripercorso quella tragedia in «una favola adulta che commuove e fa sorridere». È un romanzo, Ascoltavo le maree, in cui l’io narrante, Alberto Landi, gli assomiglia troppo per sembrare inventato. «Per uno strizzacervelli potrebbe essere il diario di una lenta elaborazione del lutto», osserva Toni Capuozzo, vicedirettore del Tg5 che conduce Terra!. La storia di questo libro è un romanzo nel romanzo. Mattioni - che in passato già si era cimentato come ghost writer nella saggistica con I manager si scelgono così (Mondadori), un’autobiografia del noto «cacciatore di teste» zurighese Egon Zehnder - lo aveva proposto a tre grandi editori. I quali l’hanno chi snobbato e chi riempito di lodi, rifugiandosi però nel pretesto del mercato editoriale in crisi per non pubblicarlo. L’autore, caparbio come solo i friulani sanno esserlo (è nato a Udine il 22 agosto 1952), non s’è perso d’animo. L’ha fatto tradurre in inglese e l’ha messo in vendita a 2,99 dollari, col titolo Whispering Tides, su Smashwords, il più grande distributore al mondo di e-book, i libri che si leggono su dispositivi elettronici portatili. Ciò che è accaduto dopo, ha sorpreso pure lui: tante copie scaricate a pagamento da Internet; massimo punteggio (5 stelle su 5) nella critica dei lettori; recensioni entusiastiche su Blue Lake Review, rivista letteraria dello Stato di New York, e sui magazine specializzati Southern Writers (Tennessee), Black Heart (Texas) e Southern Literary Review (Georgia). «Ma la soddisfazione più grande è stata quella di veder adottare Ascoltavo le maree come libro di testo alla Georgia State University di Atlanta, nei corsi di lingua italiana tenuti dal professor Richard Keatley, e alla Learn Italy school di New York». Un successo che ha destato l’interesse di Francesco Bogliari, fondatore della Media & Co., editore dell’Agenda letteraria, un passato di socio e amministratore delegato di Scheiwiller e di direttore editoriale della divisione libri del Sole 24 Ore e di Sperling & Kupfer, Etas e Millenium. Bogliari ha deciso di inaugurare il suo marchio Ink con questa prima opera di narrativa. Così, dopo aver commosso gli Stati Uniti, il romanzo ha fatto ritorno in Italia e oggi si trova nelle librerie, oltreché sul Web. Pur affermando d’aver agito inizialmente «per dispetto», Mattioni non aveva scelto a caso gli Usa come meta del suo espatrio letterario. Ascoltavo le maree è infatti ambientato a Savannah, città coloniale della Georgia che l’autore frequenta con regolarità. Dal 1998 ne è cittadino onorario. In questo scenario alla Via col vento sono stati ambientati molti film. È sulla panchina del bus-stop di una delle 21 piazze di Savannah che Forrest Gump (Tom Hanks) rievoca la sua infanzia di ritardato mentale. Ed è a Savannah, città natale del compositore Johnny Mercer, che scorre il Moon River cantato da Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany. Mattioni cominciò ad andare in vacanza a Savannah con la moglie Paola nel 1991. Il colonnello Eugen Dollmann, l’interprete di Adolf Hitler che aveva soggiornato in Italia, sosteneva che «non bisogna mai tornare dove si è stati felici». Invece il giornalista e scrittore vola in Georgia almeno una volta l’anno anche con la seconda moglie, Maria Rosa, oncologa alla clinica San Pio X di Milano, «una siciliana bionda, una normanna, più giovane e soprattutto molto più bella di me, che fa anche un lavoro socialmente molto più utile del mio», conosciuta durante una cena con amici. L’ha conquistata esibendosi ai fornelli. «In cucina so fare un po’ tutto, dall’antipasto al dessert. Tiro la sfoglia, impasto il pane. La mia specialità è la millefoglie di pescatrice. Da bambino stavo ore e ore a guardare mia nonna Ester che faceva da mangiare sulla cucina economica a legna. Vorrei rinascere chef». Figlio di un commerciante di vini e nipote di Antonio Mattioni, il vulcanico ingegnere di Cividale del Friuli che inventò il primo aereo a reazione, il neoromanziere fu assunto al Giornale da Indro Montanelli nel 1978. Ha poi lavorato a Epoca, Espansione e Gente Money, ricoprendo tutti i ruoli, da redattore a vicedirettore. Nel 2000 tornò al Giornale, dov’è stato caporedattore dell’economia e inviato. In pensione dal 2011, oggi è editorialista del quotidiano online Lettera 43 e collabora col mensile Prima Comunicazione. Perché i giornalisti, persino da pensionati, non smettono di scrivere? «Abbiamo la fortuna di poter lavorare solo con la testa. Finché funziona quella... Guarda Mario Cervi: ha compiuto 92 anni lunedì scorso e scrive come un trentenne, anzi meglio». Tu da chi hai imparato a scrivere? «Da mia madre, insegnante d’italiano. I suoi biglietti natalizi erano romanzi brevi. A 6 anni già sbirciavo la Divina Commedia illustrata da Gustave Doré, tant’è che faccio risalire a quell’imprinting la mia avversione per il calcio: so tutto delle terzine e nulla dei terzini. A 10 avevo già divorato Uomini e topi di John Steinbeck. Si può scrivere bene solo se si è letto bene». Come arrivasti al Giornale? «È triste dirlo: grazie al terremoto che nel 1976 devastò il Friuli. Studiavo giurisprudenza a Trieste, scribacchiavo su periodici locali. Dopo il sisma, andai a Gemona, il paese di mia madre raso al suolo. Lì conobbi Egisto Corradi e Gianni Moncini, leggendari inviati speciali del Giornale. Li portavo in giro fra le macerie con la mia auto. Mi fecero nominare corrispondente. Di Corradi si sa tutto. Ma Moncini, morto a 59 anni, è stato ingiustamente dimenticato». Hai ragione. «Straordinario cronista di nera. Riuscì a parlare per 45 minuti con Renato Curcio appena catturato. Alla fine il capo delle Brigate rosse gli chiese: “Ma lei per quale testata lavora?”. “Il Giornale”, rispose Moncini. E il terrorista: “Mi saluti Montanelli, un nemico coraggioso, che rispetto”. Lo scoop provocò un travaso di bile a Piero Ottone, direttore del Corriere della Sera, dal quale sia Indro che Gianni erano fuoriusciti». Il tuo modello chi era? «E me lo chiedi? Montanelli. Entravi a portare i bozzoni delle pagine nel suo ufficio e ci trovavi Luigi Barzini junior, Guido Piovene, Enzo Bettiza. Leggende viventi. Ti sentivi parte della storia». L’infatuazione per gli Usa da dove nasce? «Dai film con John Wayne che, quand’ero bambino, mio padre mi portava a vedere al Dopolavoro ferroviario di Udine. E dai racconti di mia madre. Da giovane visse a Gorizia il dramma delle foibe. Un giorno udì uno scalpiccìo provenire dalla strada. Sbirciò attraverso le persiane chiuse e vide i soldati americani liberatori che avanzavano cantando Lili Marleen. Il mio primo viaggio negli Stati Uniti coincise con quello di nozze, ottobre 1981: New York e New England. Nel 1984, a 40 anni dallo sbarco in Normandia, Epoca mi mandò nei luoghi della battaglia. Vedendo le 9.387 croci di marmo bianco dei giovani americani caduti a Omaha Beach per affrancarci dalla follia hitleriana, capii che sarei stato per sempre dalla loro parte, qualunque cosa fosse accaduta. Pur con tutti i difetti che ha e che conosco a uno a uno, guai a chi mi tocca l’America». Perché hai eletto proprio Savannah a tuo secondo domicilio? «Al congresso di una multinazionale, la mia prima moglie aveva conosciuto Ron, un italo-americano che abitava lì, sposato con Vicki, fioraia neozelandese. Fummo invitati. Il mese successivo eravamo là. Vicki diventò come una sorella per Paola. Ora lo è di Maria Rosa. Dopo la perdita di mia moglie e dei miei genitori, lei e gli altri amici di Savannah sono la mia famiglia. Mi hanno guarito. Sono loro i coprotagonisti del romanzo. È a Savannah che Alberto Landi si rifugia dopo aver mollato tutto e venduto la casa di Milano. Va a vivere dove si praticano la religione del ricordo e il culto dell’amicizia». Che fai tutto il giorno a Savannah? «La vita che fanno i savannahiani. È una città di canali d’acqua mista, dolce e salata. Ci peschi i blue crabs, granchi enormi dalle carni delicatissime. Ogni sei ore arriva la marea. Landi scopre a Savannah una matematica certezza, che nessun politico, monarca o dittatore riuscirà mai a scalfire: è la natura che detta il ritmo del mondo. Non puoi comandare le maree. Devi accontentarti di ascoltarle. O di tuffarti nella nursery dei delfini, la caletta dove ti ritrovi circondato da decine di piccoli. Le femmine di delfino che hanno appena partorito possono diventare pericolose. In quella baia scacciano gli intrusi percepiti come ostili e fanno le feste agli ospiti graditi. A un’amica di Vicki, che si credeva sterile, strusciavano delicatamente la pancia. Era incinta senza saperlo, poi le è nato un figlio. Solo i delfini, col loro sonar, avevano percepito la vita in arrivo». Come si sopravvive alla perdita del coniuge? «Non basta Savannah. Entravo in redazione alle 11 e ne uscivo all’una di notte. Siamo dei privilegiati. Il lavoro è stato una grande medicina». Ma a un giornalista impegnato a far bene il proprio mestiere avanza del tempo per scrivere romanzi? «Magari saggi. Romanzi no. E come fai? Vivi con la valigia al piede. Ho dovuto aspettare la pensione». Quanto hai speso per autopubblicarti l’e-book? «Nulla. Formatti il testo, pigi un bottone e un secondo dopo è online. La piattaforma che lo ospita si trattiene un 10% sul prezzo di copertina e ti versa anche le tasse negli Usa. Diventi autore ed editore. Puoi togliere, correggere, aggiornare, ampliare in ogni istante la tua opera. Ci sono scrittori che superano come ridere i 500.000 download». Copie vendute. «Esatto. John Locke, Amanda Hocking e Barbara Freethy viaggiano intorno ai 2 milioni». Credi più al libro digitale che a quello su carta? «Credo a tutti e due. È un errore considerarli antitetici, anziché sinergici. Negli Usa gli e-book rappresentano il 35% del mercato editoriale, in Italia appena l’1,5, ma sono destinati a crescere. Fanno da traino ai libri tradizionali, intercettano nuove fasce di lettori: i giovani, gli ipovedenti che possono ingrandire i caratteri a loro piacimento, i residenti in località isolate, i disabili e i malati che non praticano le librerie». Al selfpublisher, dice lo scrittore di e-book Ben Arogundade, un solo romanzo non basta: deve sfornarne almeno quattro all’anno. «Non sarà mai il mio caso. Ho voluto solo togliermi lo sfizio di sfidare l’editoria imperniata sulle consorterie dei premi letterari, che nel nostro Paese sono guastati da pastette peggiori dei congressi della defunta Dc. Sono stato proclamato fra i cinque finalisti dei Global e-book awards e degli Usa best book awards, unico italiano su oltre 2.000 scrittori selezionati in tutto il mondo da una giuria popolare anonima». Però alla fine Whispering Tides è diventato Ascoltavo le maree ed è finito su carta. «Per caso. Francesco Bogliari ne ha letto un capitolo su Facebook e mi ha telefonato: “Non sapevo che fossi anche romanziere. Portami subito il manoscritto italiano”. Dopo qualche giorno me ne ha chiesto un’altra copia: la prima era stata sequestrata da sua moglie Rosamaria, che non voleva più ridargliela». Ma che cosa ti dà l’America che l’Italia non possa offrirti? «Lo spazio infinito. Là il cielo è più grande, l’orizzonte è più esteso. E poi non c’è Paese al mondo dove la bandiera sia più venerata che negli Usa, la trovi in ogni casa. Eppure, se la bruci per strada, non ti arrestano né ti denunciano: è un tuo diritto farlo, una manifestazione del pensiero. Solo in America provi la sensazione fisica della libertà». LORENZETTO Stefano. 56 anni, veronese. È stato vicedirettore vicario del Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Ultimo libro: La versione di Tosi (Marsilio). LORENZETTO Stefano. 56 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café su Raitre. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Dieci libri: Cuor di veneto, Il Vittorioso, Visti da lontano e La versione di Tosi. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.