Piergiorgio Odifreddi, la Repubblica 31/3/2013, 31 marzo 2013
TUTTA LA VITA IN UN’ELICA
Il 28 febbraio 1953, benché fosse sabato, il ventitreenne James Watson si recò in laboratorio la mattina presto, ed ebbe l’ intuizione della sua vita: rimescolando i quattro tipi di tessere di un puzzle tridimensionale di cartone sul quale stava lavorando, che corrispondevano alla struttura chimica delle quattro lettere (A, T, G e C) dell’ alfabeto del DNA, si accorse che esse combaciavano perfettamente a coppie (A con T, e G con C). A metà mattina il trentasettenne Francis Crick raggiunse il compagno di ricerca, e comprese immediatamente che la sua scoperta significava che il DNA aveva una struttura a doppia elica, costituita da due catene di lettere orientate in direzione opposta. All’ ora di pranzo i due si recarono al loro solito pub, l’ Eagle, e Crick annunciò modestamente ai commensali che, insieme a Watson, aveva appena scoperto il «segreto della vita». Fin dalle origini della sua storia cosciente l’ uomo aveva infatti cercato di rispondere alla domanda più fondamentale che poteva porsi: «Cosa c’ è di misterioso, magico, o addirittura divino, nella vita?».
E la risposta che Watson e Crick avevano appena trovato era: “Niente!”. La vita risultava infatti non essere altro che il prodotto di normali processi fisici e chimici, e per spiegarla non era neppure stato necessario inventare una nuova scienza, come qualcuno aveva supposto o temuto: bastava quella che c’era già.
Per metabolizzare una simile risposta, che ci dovrebbe finalmente liberare dalla mitologia che per millenni ha avvolto nelle sue nebbie metafisiche il problema della vita, ci vorranno decenni. Lo dimostrano, per esempio, le parole con cui il presidente Clinton annunciò dalla Casa Bianca, il 26 giugno 2000, il completamento della prima bozza del genoma umano: «Oggi apprendiamo il linguaggio con il quale Dio creò la vita». E lo dimostrano le mille polemiche che accompagnano il Dna in ogni sua manifestazione, dagli Ogm alle staminali. In attesa che l’ora di Dna sostituisca, o almeno si affianchi, all’ora di religione nelle scuole, la storia delle conquiste teoriche di mezzo secolo di biologia molecolare, e il ventaglio delle applicazioni pratiche che la conoscenza del Dna ha reso possibili, si possono leggere in uno dei più bei libri di divulgazione scientifica di questi anni: Dna. Il segreto della vita (Adelphi, 2004), che Watson stesso ha scritto per celebrare il cinquantenario della sua scoperta, e ora ha aggiornato per celebrarne il sessantenario. Watson e Crick ricevettero il Nobel per la medicina nel 1962, e la doppia elica contribuì a portare il Dna alla ribalta. A scanso di equivoci, l’idea che la molecola fosse costituita da un’elica non era affatto nuova: il grande chimico Linus Pauling, vincitore di ben due Nobel (chimica e pace), aveva annunciato proprio nel 1953 un modello a tripla elica, poi risultato sbagliato. Anche Maurice Wilkins era convinto che si trattasse di un’elica, e cercò di determinarla non mediante model-li, come Watson e Crick, ma attraverso la diffrazione a raggi X: le foto del suo laboratorio fornirono una conferma della struttura, e Wilkins condivise con loro il premio Nobel nel 1962.
Ora, come direbbe Thomas Eliot, quella che sembra la fine della storia è invece soltanto un inizio. Ad attendere la biologia molecolare sono infatti i tre grandi progetti della genomica (comprendere la funzione dei singoli geni e la loro azione congiunta), della proteomica (sequenziare e studiare le proteine) e della
trascrittomica (determinare quali geni siano attivi in una data cellula), con l’obiettivo di capire nei dettagli l’intero meccanismo della vita, dalla prima cellula all’intero organismo, per la maggior gloria dello spirito umano.