Michele Farina, la Lettura (Corriere della Sera) 31/03/2013, 31 marzo 2013
GALLIO, INDIO, TANTALIO: LO SCONTRO SOTTERRANEO TRA LE POTENZE GLOBALI
James Clapper, direttore della National Intelligence e capo di tutte le spie d’America, non è appassionato di geologia e ha mille problemi: Iran, Nord Corea, droni, hacker cinesi. Eppure di questi tempi Clapper si preoccupa anche di gallio, indio, tantalio. Pure di niobio e di litio, con un occhio alle nuove trasformazioni della grafite (da cui si ricava il grafene) oltre che al vecchio uranio.
Materie secondarie, rispetto a gas e petrolio che spingono il mondo. Commodity scomode, quelle che si recuperano in piccole quantità setacciando la Terra, dalle Ande alle foreste africane. Pochi giorni fa, racconta alla «Lettura» l’esperto di resource wars Michael Klane, mister Intelligence ha fatto una relazione al Congresso in cui nella lista dei rischi per la sicurezza nazionale «per la prima volta» ha anteposto allo spettro terrorismo l’emergenza «risorse naturali». Con un riferimento particolare agli elementi chiamati «esotici». Vengono definiti anche cruciali (critical minerals) e per alcuni vale l’etichetta conflict minerals (tantalio e niobio si ritrovano uniti nel famigerato coltan, che alimenta la guerra nell’Est del Congo). Si tratta per la maggior parte di metalli poco diffusi in natura, recuperabili (come ogni sostanza preziosa) in modiche quantità. Dalle cosiddette «terre rare» (di cui la Cina detiene il monopolio controllando il 95% della produzione mondiale) al platino, dal palladio al tantalio di cui ogni anno vengono estratte soltanto 700 tonnellate (contro le 54 mila dell’uranio e i 7 miliardi del carbone). A volte sono materiali semi sconosciuti, con nomi spaziali (e infatti li hanno scoperti di recente anche su Marte). Eppure spesso sono componenti essenziali del nostro (nuovo) mondo, dagli smartphone alle auto ibride ai moderni sistemi di difesa (laser, radar...). Secondo il ministero dell’Energia Usa, per esempio, il 20% delle terre rare è impiegato nelle applicazioni dell’energia verde. Sostanze davvero un po’ esotiche ma sicuramente strategiche, visto che il Pentagono ha cominciato a ricostruire le loro riserve smantellate al termine della guerra fredda.
Fino al 1995 il governo Usa manteneva depositi in 85 luoghi diversi che facevano capo al Defense National Stockpile Center, dove erano custodite scorte di 90 materie considerate cruciali per la sicurezza nazionale. Quindici anni dopo, spiega Michael Klane nel suo nuovo libro, i depositi si sono ridotti a dieci e le materie conservate una ventina. Anche la Commissione europea ha adottato lo stesso approccio allarmato, identificando un gruppo di 14 minerali il cui «esaurimento scorte» causerebbe danni gravi all’economia dell’Unione. Nella lista non mancano il gallio, l’indio, il cobalto, il germanio, la grafite, il magnesio, il tungsteno. Non è un caso che Europa e Stati Uniti abbiano aperto l’anno scorso un contenzioso con la Cina in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), dopo che Pechino aveva ridotto l’esportazione di terre rare. Nel 2010 la crisi diplomatica scoppiata per la sovranità su un remoto arcipelago ha portato la Cina a sospendere per rappresaglia i rifornimenti di rare earth elements (Ree) al Giappone che ne è il principale consumatore. Le varie sfide aperte nell’Oceano Pacifico per il controllo di piccole isole riguardano in realtà la partita futura sullo sfruttamento dei grandi giacimenti sottomarini di gas e petrolio. Ma è significativo che i cinesi abbiano usato la stretta sulle nuove pietre preziose come arma per colpire i rivali. Questo precedente, dice Klare, ha molto preoccupato Washington. Gli Stati Uniti importano il 99% del gallio e il 100% dell’indio e del vanadio impiegato nella produzione di leghe metalliche speciali (anche nel settore nucleare). Da chi lo comprano? Il 37% del gallio e il 4% dell’indio usato in America arriva dalla Cina. È ipotizzabile che per questi e altri materiali si arrivi in futuro a uno scontro Pechino-Washington? Di certo le tensioni in questo campo sono destinate ad aumentare, spiega Klare, che insegna all’Hampshire College di Amherst, Massachusetts, dove è direttore del Five College Program in Peace and World Security Studies. Il suo ultimo libro, The Race for What’s Left, è arrivato un decennio dopo Resource Wars. The New Landscape of Global Conflict, che uscì l’anno dell’11 settembre: allora la guerra per le risorse finì sepolta sotto le Torri gemelle e la guerra al terrorismo. Oggi, mentre Osama è stato scoperto, il niobio non si trova. Certo, «la corsa a ciò che è rimasto» si gioca soprattutto sulle risorse maggiori, per esempio il gas e il petrolio che aspettano sotto il ghiaccio che si scioglie nell’Artico, o i cosiddetti idrocarburi non convenzionali estratti dalle sabbie canadesi o spaccando le rocce delle montagne con l’acqua (il controverso procedimento chiamato fracking, fratturazione idraulica). Ma una tappa importante riguarda proprio gli elementi esotici. Il dio delle commodity scomode si è divertito a spargerle senza seguire sempre le classifiche dei Paesi per peso geopolitico o pedigree democratico. Così il litio, che dà la carica alle auto ibride ed elettriche, oggi si trova principalmente sulle Ande, tra Cile e Argentina, mentre le maggiori riserve ancora intatte (quasi il 50% del totale mondiale) sono nascoste sotto la crosta salata del Salar de Uyuni in Bolivia, governata dal leader indio Evo Morales, mentre tra le montagne a ovest di Kabul a guerra ancora in corso è già cominciata (tra americani e cinesi) la gara per il litio afghano. Così lo Zimbabwe dell’autoritario Robert Mugabe è il paradiso futuro del platino, per ora lasciato in sfruttamento agli amici cinesi e alle compagnie sudafricane che in casa propria già estraggono il 75% della produzione mondiale. La disastrata Repubblica democratica del Congo è al primo posto per il cobalto (45 mila tonnellate, lo Zambia secondo con 11 mila). Il Kazakhstan del dittatore Nazarbayev è corteggiato da ogni parte per il suo uranio (33% dell’offerta globale).
Le rare earth sono un po’ meno rare in Cina, anche se Pechino sembra fare di tutto per nasconderlo. Da una parte c’è una progressiva stretta strategica (per sviluppare le proprie imprese high-tech a scapito della concorrenza), dall’altra le fluttuazioni del mercato che dal dicembre 2012 al marzo 2013 hanno visto calare le esportazioni di Ree del 60%. Negli anni la superpotenza asiatica ha conquistato il monopolio del settore, con i competitor schiacciati dai costi di estrazione. Ora Australia e Usa provano a riprendere la produzione, mentre il Giappone cerca di aggirare il nodo cinese, investendo in ricerca e puntando su nuovi fornitori come Vietnam e Kazakhstan.
Le guerre per le risorse, dice Michael Klane, fanno parte della storia dell’uomo. Rispetto al passato, però, oggi diminuiscono le risorse, mentre aumentano i Paesi cacciatori. Klane è appena stato in Spagna e racconta la storia di Las Médulas, situata nei pressi dell’attuale Ponferrada, la più importante miniera d’oro dell’impero romano conquistata e difesa a fil di spada. Plinio il Vecchio descrive la tecnica della Ruina Montium, che ha modellato quelle montagne perforandole a forza di schiavi e introducendovi grandi quantità d’acqua (in pratica, il fracking degli antichi). A millenni e migliaia di chilometri di distanza, nelle foreste del Nord Kivu contese da milizie armate, gli schiavi del Congo spaccano a mano le rocce del coltan da cui secondo Klane proviene sottobanco un quinto del tantalio mondiale, l’oro bluastro che, ridotto in polvere, fa funzionare i nostri telefonini.
Michele Farina