Beda Romano, Il Sole 24 Ore 31/3/2013, 31 marzo 2013
E VAN ROMPUY CHIAMÒ I MILITARI
[box tappe della crisi alla fine]
La lunga domenica di Nicos Anastasiades è iniziata alle 9 del mattino in un velivolo delle forze militari belghe. L’aereo era atterrato all’alba, inviato in tutta fretta a Cipro dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. «Il presidente cipriota era impegnato sabato nei negoziati a Nicosia. Volevamo essere certi di poterlo avere qui a Bruxelles a metà giornata, prima dell’inizio dell’Eurogruppo», racconta un protagonista delle trattative che hanno portato quella domenica notte, esattamente una settimana fa, a un soffertissimo accordo tra Cipro e i suoi creditori internazionali.
I dieci giorni che hanno sconvolto la zona euro, dal 15 al 25 marzo, sono stati segnati da riunioni-fiume; teleconferenze improvvisate; gaffes e incomprensioni; tensioni e timori; decisioni controverse, alcune rinnegate, altre portate a esempio; e scelte dell’ultimo minuto come quella di Van Rompuy di spedire un aereo militare belga per prelevare d’urgenza il capo di Stato cipriota. «Non sarei sorpreso - dice l’economista greco, professore ad Atene, Yanis Varoufakis - se l’epilogo della crisi cipriota venisse registrato negli annali della Storia come una svolta cruciale, come il momento in cui l’Europa ha passato il Rubicone».
Da un resoconto degli eventi l’impressione è che la partita cipriota non sia terminata. Riuscirà il Paese a ristrutturare le proprie banche e a rimanere nell’Unione? Le stesse restrizioni ai movimenti di capitale decise a Nicosia non potrebbero forse estendersi anche in altri Paesi? Più in generale, le trattative di questi giorni hanno mostrato il successo di Van Rompuy, i limiti del neo-presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, e l’impotenza dei ministri finanziari, sopraffatti da accordi tecnicamente sempre più complessi. L’arrivo di Anastasiades a Bruxelles domenica 24 marzo era stato preceduto da una settimana concitata.
Preoccupato dal pericolo di un collasso bancario a Cipro, Dijsselbloem annuncia una riunione straordinaria dei ministri delle Finanze della zona euro per il 15 marzo. L’obiettivo è di trovare un accordo su un pacchetto di aiuti della troika (Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale e Commissione europea). Finalmente all’alba si delinea un compromesso: prestiti per 10 miliardi da associare a un prelievo forzoso nei conti ciprioti per quasi sei miliardi di euro. Nel giro di ore il pacchetto però provoca dubbi e risentimenti, a Cipro e altrove. Riassume un diplomatico: «Si sono fatti i conti senza l’oste, ossia conti troppo tecnici, poco politici».
In effetti, due giorni dopo, il Parlamento cipriota boccia sonoramente il compromesso raggiunto a Bruxelles dal ministro delle Finanze Michalis Sarris. Ufficialmente, la palla è nel campo cipriota, ma gli esponenti più lucidi dell’establishment europeo non si fidano di Nicosia: in balia degli eventi? O alla ricerca di soluzioni bizantine? I ciprioti hanno vissuto per 500 anni sotto il dominio via via dei veneziani, degli ottomani, degli inglesi. Hanno considerato l’ingresso nell’Unione un modo per affrancarsi dalle potenze regionali, ma vedono ora in Bruxelles la nuova potenza dominante, con la quale giocare a rimpiattino.
Giovedì 21 marzo, la Bce decide quindi di usare le maniere forti: annuncia a sorpresa che interromperà le iniezioni straordinarie di liquidità alle banche cipriote in mancanza di accordo. Intanto, a Cipro monta la protesta popolare contro la chiusura delle banche, imposta dal Governo per il timore di una fuga dei capitali. Una nuova intesa è ormai urgente, tanto che Dijsselbloem convoca un nuovo Eurogruppo per domenica 24 marzo. Preoccupato dal fallimento del primo accordo, Van Rompuy decide di cancellare un vertice Europa-Giappone a Tokio e di partecipare ai negoziati con il Governo cipriota in prima persona.
Arrivando a Bruxelles, il presidente della Bce Mario Draghi getta le carte sul tavolo: avverte che il suo ultimatum scade alle 24 di domenica, non alle 18 di lunedì, come speravano in molti. La prima sfida è di trovare una intesa nella troika. Mentre l’Fmi chiede la chiusura delle due banche più indebitate (Laiki Bank e Bank of Cyprus), la Commissione vuole salvarne una perché continui a sostenere l’economia. Trovato un accordo, l’ostacolo da superare è ora cipriota. Anastasiades, che vuole salvare ambedue gli istituti, minaccia le dimissioni. «La situazione della Laiki Bank è scandalosa. Impossibile per noi non chiuderla» sbotta un negoziatore europeo.
Tardi nella sera di domenica, Sarris incontra nel palazzo del Consiglio europeo alcune delegazioni nazionali proponendo soluzioni che lo stesso Anastasiades aveva rifiutato con i membri della troika. Fuoco amico? Nuovo bizantinismo? «Eravamo a dir poco confusi», ammette un diplomatico. I negoziati sono condotti da Van Rompuy e dai vertici della troika; i ministri sono tenuti al corrente saltuariamente: «Nei fatti l’Eurogruppo è stato estromesso - ricorda un altro funzionario - ha solo dato il suo benestare all’accordo finale». Molti ministri hanno passato la serata negli uffici della loro delegazione nazionale, in frustrante attesa.
A ridosso della mezzanotte, dopo l’ennesima voce sulla convocazione urgente di un summit dei 27, le parti trovano un’intesa, che prevede la chiusura della Laiki Bank, la ristrutturazione della Bank of Cyprus, e l’impegno di depositanti e obbligazionisti ad assumersi le perdite. È abbandonata l’idea di una tassa sui conti. Avverte un alto responsabile europeo: «La partita però non è chiusa. L’economia cipriota aveva raggiunto dimensioni artificiali. Ora bisogna riportarla alla taglia dell’isola. Oltre che aiutare il Paese, bisognerà seguire passo passo le ristrutturazioni bancarie e le stesse restrizioni ai movimenti di capitale. Possiamo fidarci dei ciprioti?».
In Europa, Cipro non gode di fiducia. A Bruxelles, e in altre capitali, c’è poi la consapevolezza che la vicenda ha diviso i 17, lasciato cicatrici forse indelebili nell’assetto dell’euro, indebolito lo stesso presidente dell’Eurogruppo. Definire il contributo dei privati un nuovo modello nella gestione delle crisi bancarie, come ha fatto Dijsselbloem, ha creato nuove tensioni sui mercati e tra i Governi. «Il 2013 sarà l’anno decisivo della crisi debitoria - predice un diplomatico - il rischio è di assistere a tante piccole Conferenze di Monaco tipo 1938 nelle quali tutti dicono di avere vinto, ma in realtà tutti hanno perso, e in particolare l’Europa».
beda.romano@ilsole24ore.com
LE TAPPE DELLA CRISI
25 giugno 2012
Cipro chiede all’Europa un pacchetto di aiuti. Le banche hanno subito perdite per 4,5 miliardi (il 25% del Pil) a causa della ristrutturazione del debito greco. Si stima il salvataggio a 17 miliardi
5 novembre 2012
Der Spiegel pubblica stime dei servizi segreti tedeschi secondo le quali nel 2011 cittadini russi hanno investito fino a 21 miliardi di euro a Cipro (31 miliardi, secondo Moody’s)
16 marzo 2013
L’Eurogruppo annuncia un accordo su un pacchetto di aiuti che prevede la tassazione dei depositi, anche sotto 100mila euro
18 marzo 2013
Il Parlamento cipriota respinge la tassazione dei depositi
21 marzo 2013
La Bce lancia un ultimatum: senza un accordo sul salvataggio, il 25 marzo interromperà il flusso di liquidità alle banche cipriote
22 marzo 2013
Il Parlamento cipriota vota un progetto di legge sul fallimento delle banche e sulle restrizioni ai movimenti di capitale
24 marzo 2013
Nella notte tra il 24 e il 25 marzo, l’Eurogruppo annuncia l’intesa
Atto di forza. I ministri delle Finanze sono stati estromessi
dai negoziati condotti da troika e presidente del Consiglio Ue