Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La questione delle tasse è prima di tutto ermeneutica…
• Lei aveva preso un impegno a non adoperare parole impossibili…
Alla grossa, “ermeneutica” è il metodo con cui si interpreta qualcosa. L’oggetto da interpretare è qui la sconfitta elettorale di Lega e Pdl alle amministrative. Le ragioni di questa sconfitta – le ragioni teoriche – possono essere molte. Per esempio, per quello che riguarda Berlusconi: siamo sicuri che il popolo italiano sia tanto indifferente alle avventure sessuali del presidente del Consiglio? All’insistenza con cui batte sui problemi della giustizia, in chiave però piuttosto personalistica? Alla mediocrità dei deputati e dei senatori di cui si è circondato? A quell’insistito “ghe pensi mi”, abbastanza imbarazzante in casi – per esempio – come la spazzatura di Napoli? E per quello che riguarda la Lega: non avrà provocato qualche danno la posizione sulle celebrazioni dell’unità d’Italia, piuttosto sentite invece, anche al Nord? E quella sensazione che anche questo partito sia diventato alquanto romano, non insensibile cioè a posizioni di potere nelle banche e a sinecure nella pubblica amministrazione (le province non si toccano)? E che dire di Lampedusa? Tante grida, ma dalla Libia e dalla Tunisia continuano ad arrivare 500-1000 disperati al giorno. La Lega non s’era levata come un sol uomo contro la guerra in Libia? E s’è trovata invece a stringere un compromesso il cui risultato finale è che adesso siamo quelli che bombardano di più?
• A che punto arriva la faccenda delle tasse?I politici detestano l’autocritica, e l’unica spiegazione alla sconfitta che non fa perdere la faccia né a Berlusconi né a Bossi è quella delle tasse o, in altri termini, dei soldi che non sono stati distribuiti in quantità sufficiente per raccogliere consensi. Di qui la pressione fortissima di Berlusconi su Tremonti perché prepari le legge delega di riforma del fisco e il divieto di procedere nei prossimi due anni con i 40 miliardi di tagli (qui il premier ha introdotto un nuovo termine, «manutenzione»). Insomma, l’economia, i soldi. Su tutto il resto essendo le due formazioni politiche che ci governano si sentono con la coscienza a posto.
• Ma le tasse si potrebbero tagliare o no?
L’altro giorno Tremonti ha detto che non saprebbe dove trovare gli 80 miliardi necessari. C’è poi il fatto che il nostro Paese s’è impegnato (con la firma di Berlusconi) a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014.
• Che cosa significa pareggio di bilancio?
La differenza tra entrate e uscite deve essere uguale a zero. Draghi ha detto che per ottenere questo risultato bisogna tagliare il 7% dei costi. Sono gli 80-100 miliardi di cui parla Tremonti. Il ministro ha detto che si potrebbe tentare qualcosa, ma non in deficit. Cioè, se io taglio le tasse da una parte devo recuperare i soldi a cui rinuncio da qualche altra parte. Si sono fatti parecchi ragionamenti su tutta la faccenda e, al momento, la strada più probabile sembra questa. Prima mossa: aumentare dell’1% l’Iva che adesso sta al 10 e al 20. Intervenire poi sulle agevolazioni Irpef. Vale a dire: la nostra imposta sul reddito delle persone fisiche prevede un mucchio di agevolazioni. Facendo la somma di tutte queste agevolazioni, si scopre che sotraggono alle casse dello Stato sui 150 miliardi. Con l’Iva all’11 e al 21% e con le agevolazioni Irpef un poco sforbiciate si potrebbero raggranellare una decina di miliardi. Questa specie di tesoretto potrebbe servire ad abbassare di due punti il primo scaglione delle aliquote Irpef (quello fino a 15 mila euro), sul quale si pagherebbe non più il 23, ma il 21%. Trovandosi in tasca un po’ più soldi, gli italiani sarebbero forse indotti a spendere qualcosa di più, cioè a sostenere – come si dice – la domanda interna. D’altra parte, aumentando l’Iva, si provocherebbe un aumento dei prezzi, con un effetto deprimente sulla voglia di fare acquisti. Se ne deduce che tutto il girotondo produrrebbe un saldo zero non solo nei conti dello Stato, ma anche nei comportamenti dei consumatori.
• E allora?
Allora sarebbe però un ottimo strumento di propaganda. Perché permetterebbe a Berlusconi e ai suoi ministri di annunciare una svolta storica: l’abbassamento, finalmente, dell’aliquota più popolare, quella che riguarda tutti noi. Questo potrebbe avere un effetto positivo, in termini di propaganda, se veramente la sconfitta di Berlusconi e di Bossi si potesse attribuire in massima parte a motivi economici. Ma è veramente così? Se si eccettua l’economia, i nostri governanti godono davvero del massimo consenso? È difficile saperlo, ma non impossibile. Qualcosa ci dirà il risultato odierno dei referendum. E la reazione dei leghisti domenica prossima a Pontida, quando Bossi celebrerà dal palco la festa del suo partito. Non è detto che sarà applaudito come ai bei tempi.
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