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 2011  giugno 13 Lunedì calendario

IL MONDO ALLA CANNA DEL GAS


"Entro il 2014 venderemo l’energia solare allo stesso prezzo delle altre. Senza un centesimo di incentivi". L’annuncio fatto orgogliosamente in questi giorni dalla FirstSolar, la più grossa azienda americana del fotovoltaico, va preso con le molle. Si riferisce al mercato californiano, dove il sole batte forte (come in Sicilia, peraltro) e al prezzo del picco di domanda, quando le quotazioni sono al massimo della giornata. Tuttavia se si pensa alla distanza che pochi anni fa esisteva fra il costo di un kilowatt solare e uno tradizionale, la rapidità con cui il divario si sta riducendo dà linfa alle aspettative di chi pensa che un futuro all’insegna delle rinnovabili sia a portata di mano. Quasi, però. Prima che sole e vento possano diventare gli assi portanti dell’elettricità mondiale dovranno, probabilmente, passare almeno 1520 anni, dicono esperti autorevoli, come il premio Nobel Carlo Rubbia. Gli stessi tedeschi, che hanno appena rinunciato al nucleare, non pensano di arrivare a più di un terzo di elettricità da rinnovabili entro il 2020. E il resto? La ritirata dal nucleare, innescata dal disastro di Fukushima, apre un vuoto che dobbiamo colmare, di fronte ad una domanda crescente di energia. Cosa, al posto del nucleare, qui e ora? Sorpresa. La risposta è: il gas. Il vero vincitore del dopo Fukushima, dicono concordi i grandi organismi internazionali che si occupano di energia, è il metano. Ma non è lo stesso metano che, solo quattro anni fa, rischiava di lasciarci al buio e al freddo, mentre Putin e la Gazprom erano impegnati a litigare con l’Ucraina?
Per capire cosa succede, bisogna spostarsi dalla California al Golfo del Messico, in Louisiana. Qui Cheniere Energy, uno dei grandi dell’energia americana, ha ricevuto, a fine maggio, l’autorizzazione ad attrezzare un terminale per l’esportazione di gas liquefatto, estratto dal sottosuolo americano. Altri si stanno muovendo sulla scia di Cheniere. E’ un’altra sorpresa. Fino a pochi anni fa l’America si presentava al mondo come un grande importatore. Adesso come nel caso di Cheniere i terminali che erano stati pensati per la rigassificazione del metano liquefatto da importazione vengono trasformati in impianti di liquefazione di gas da esportare: il mondo a rovescio.
Il senso di quanto sta avvenendo è in questa svolta di 180 gradi. La battuta d’arresto del dopo Fukushima per il nucleare si incrocia con il boom delle riserve mondiali di metano. Per il mondo dell’energia, questo boom è una rivoluzione, che autorizza la Iea (il braccio energia dell’Ocse) a titolare un rapporto, diffuso la scorsa settimana, sul futuro sviluppo dell’energia mondiale, "L’età d’oro del gas".
La rivoluzione consiste nell’utilizzo crescente del gas non convenzionale, quello che può essere estratto solo frantumando le rocce d’argilla (shale gas) o i depositi di carbone (coal bed methane). Oggi, il 60 per cento del gas estratto negli Stati Uniti è shale gas. Nel febbraio scorso, il ministero dell’Energia americano ha pubblicato uno studio su 48 regioni del mondo (fra cui non c’è l’Italia), da cui risulta che le riserve potenziali di gas non convenzionale sono ben distribuite al di fuori di aree tradizionali, come Russia e Iran in paesi come Brasile, Sudafrica, Polonia, Ucraina, Australia, Cina. Il loro utilizzo aumenterebbe le risorse disponibili di metano del 40 per cento rispetto alle riserve di gas convenzionale. Nel suo rapporto, la Iea va più in là e stima che, a livello mondiale, con il gas non convenzionale le riserve potenziali di metano sono raddoppiate: ce n’è per più di un paio di secoli, ai consumi attuali.
Abbiamo scoperto, insomma, di galleggiare sopra un mare di gas. In realtà, le stime di Eia e Iea si riferiscono non alle riserve vere e proprie, ma a quelle potenzialmente sfruttabili, allo stato attuale della tecnologia. Non è detto che si possa estrarre tutto quel gas. E questo vale soprattutto per l’Europa che, con lo shale gas, si libererebbe di colpo dagli insidiosi legami con i gasdotti da Russia e Nord Africa. Secondo l’Eia, le riserve europee di gas non convenzionale valgono l’80 per cento di quelle americane. Per la Iea, potenzialmente lo shale gas raddoppierebbe il metano disponibile in Europa.
Ma un boom come quello americano in Europa è difficile. Un recente rapporto dell’Eucers un centro legato all’Imperial College di Londra enumera gli ostacoli. Lavorare il gas non convenzionale richiede grandi quantità d’acqua, non facilmente disponibile sul Vecchio Continente. La densità abitativa, in Europa, è alta: non ci sono i grandi spazi vuoti americani. Infine, i diritti di proprietà del sottosuolo, negli Usa, sono dei proprietari della superficie, mentre in Europa sono di solito dello Stato, e ciò comporta inevitabili conflitti legali.
Probabilmente questi ostacoli non fermeranno lo sfruttamento dei nuovi giacimenti nei paesi più promettenti, come Polonia e Ucraina, ansiose di liberarsi dalla dipendenza dal gas russo. E, nel mercato reso globale dal trasporto di Lng, il metano liquefatto, ciò che conta è il gas disponibile a livello mondiale. Ma il metano non convenzionale presenta problemi generali a livello ecologico. Negli Usa si è visto che la frantumazione delle rocce, necessaria all’estrazione, si collega spesso ad un inquinamento delle falde acquifere. Come questo avvenga, visto che la trivellazione dei pozzi avviene mille metri più in profondità, rispetto alle falde, non è chiaro. Le autorità americane hanno appena cominciato ad indagare sul fenomeno. L’ipotesi peggiore è che le fratture create nei pozzi consentano al metano di risalire verso la superficie. Ma è possibile che l’inquinamento avvenga direttamente in superficie, nello smaltimento e nel trattamento dell’acqua sparata nei pozzi per spaccare le rocce. Oppure che le camicie di cemento che dovrebbero sigillare i tubi che vanno e vengono dal sottosuolo non siamo sufficientemente stagne. Analogamente, bisogna capire se gli additivi chimici usati nella trivellazione possano essere sostituiti da componenti non inquinanti.
In altre parole, non sappiamo ancora se l’utilizzo dello shale gas vada incontro ad una impasse ecologica o se il problema è solo di una regolamentazione più stringente ed efficiente, come ritengono molti esperti.
Tuttavia, anche se questi ostacoli venissero superati, un ricorso massiccio, nei prossimi anni, al metano si scontrerebbe comunque con un ostacolo ecologico più generale: l’effetto serra. Bruciare gas comporta metà delle emissioni di anidride carbonica generate dalla combustione del carbone, ma almeno quattro volte quelle di una centrale nucleare. Secondo i calcoli della Iea, sostituire il gas al carbone fa risparmiare emissioni in misura pari a quella che, oggi, assicurano le centrali nucleari. In altre parole, metano al posto del nucleare esistente è una operazione, dal punto di vista dell’effetto serra, a somma zero. E non è un buon risultato. Significa, sottolinea la Iea, lasciare il mondo su una traiettoria che porta ad un riscaldamento medio del globo di 3,5 gradi, invece dei 2 gradi che vengono considerati la soglia di sicurezza e che la Iea contava di raggiungere con un forte rilancio del nucleare e/o delle rinnovabili.
Ma, forse, l’equazione gas, invece del nucleare, esistente e futuro, è troppo schematica. Si può pensare, invece, ad una brusca accelerazione sul fronte delle rinnovabili, per chiudere il gap fra domanda e produzione di energia. E, a renderla possibile, sarebbe proprio il gas. L’handicap di sole e vento, oggi, è la loro volatilità: producono energia solo quando sole e vento ci sono, al contrario del nucleare, che marcia 24 ore su 24. Affiancare alle centrali solari ed eoliche centrali a gas, che entrerebbero in funzione (limitando, così le emissioni di anidride carbonica) soltanto per colmare i vuoti produttivi dell’impianto solare e/o eolico principale, consentirebbe di superare quell’handicap, in attesa che le rinnovabili siano in grado di volare da sole. La grande impresa ci ha già pensato. In questi giorni, un gigante come Ge ha presentato il progetto di una centrale a gas, FlexEfficiency, in grado di entrare in funzione e di spegnersi con grande rapidità, pensata proprio per affiancare le centrali delle rinnovabili. Christopher Flavin, presidente di una organizzazione ecologista come il Worldwatch Institute, sostiene che sia il gas "il ponte ad un futuro tutto di rinnovabili".