VITO DE CEGLIA , la Repubblica Affari&finanza 13/6/2011, 13 giugno 2011
ECCO IL NOSTRO NETWORK QUOTIDIANO E LA CITTÀ DIVENTA UN PC A CIELO APERTO"
Roma, 10 luglio 2006: i tifosi in festa corrono ad accogliere la loro squadra, vincitrice della Coppa del Mondo. A piedi, in macchina, in motorino: tutti affluiscono verso il Circo Massimo. Quanti sono? Decine, centinaia di migliaia? Di più? Si dovrà attendere il giorno dopo, attraverso i mezzi di informazione, per conoscere la cifra esatta: un milione. Un numero ottenuto in realtà in tempo reale, la sera stessa, minuto per minuto, da un team di ricercatori seduti dietro una serie di schermi. Stessa scena, il 6 agosto, per l’unico concerto di Madonna: 70 mila fan, che confluiscono verso lo Stadio Olimpico, sono direttamente seguiti e contati.
In che modo? «Utilizzando i segnali emessi dai cellulari degli abbonati a Telecom Italia», risponde Assaf Biderman, a soli 33 anni uno dei più ascoltati studiosi a livello mondiale di Internet of things, internet degli oggetti, che riceverà un’ulteriore spinta grazie alla tecnologia cloud, che letteralmente significa "nuvola": il nuovo tormentone della rete che permette di utilizzare un insieme di risorse hardware e software in grado di fornire servizi su richiesta attraverso Internet. Biderman è atteso il 21 giugno all’Università Bocconi di Milano per tenere una lezione sulla "nuvola" e, più in particolare, per parlare dei programmi del Senseable City Lab, il centro di ricerca multidisciplinare del Mit di Boston, fondato 7 anni dall’italiano Carlo Ratti e di cui lui oggi è vice direttore.
Lo stesso laboratorio, in cui lavorano una trentina di ricercatori, che cinque anni prima hanno elaborato il progetto "Roma città in tempo reale" e molti altri progetti simili sperimentati in altri centri urbani fra i quali Singapore, Cannes, Saragoza e Graz.
«L’esperimento di Roma osserva Biderman ha consentito di visualizzare la capitale italiana in modo inconsueto: su grandi schermi erano rappresentati tutti i quartieri romani e punti luminosi, frecce rosse, verdi, gialle, curve colorate in tre dimensioni rappresentavano i movimenti della popolazione, i luoghi più frequentati». In poche parole, è stata fatta la radiografia di una città in tempo reale. Sono trascorsi 5 anni da quell’esperimento. Altri sedici ne sono passati da quando Internet ha mosso i primi passi. Tradotto: è bastato poco meno di un ventennio per confutare chi, come il futurologo statunitense George Gilder, prevedeva che la «morte della distanza», derivante dai media digitali e da Internet, avrebbe certamente comportato la «morte delle città». A posteriori, sappiamo tutti che la storia ha preso un’altra piega.
In realtà, mai le città sono state così fiorenti come negli ultimi due decenni. La Cina sta costruendo un tessuto urbano maggiore a quello mai costruito dall’umanità. E il 2008 è stato segnato da un momento significativo: per la prima volta nella storia, oltre metà della popolazione mondiale, 3.3 miliardi di persone, vive in aree urbane. Entro il 2030 si prevede che il dato sfiorerà i 5 miliardi.
Sono numeri che crescono proporzionalmente al business generato dalla "nuvola", dal cloud, e dalla rete Internet: un mercato che, secondo 300 top manager IT intervistati da Morgan Stanley, crescerà dal 28% al 51% in tre anni, cioè due volte più velocemente rispetto alle previsioni degli esperti del settore, con un giro di affari che potrebbe raggiungere gli 800 miliardi di ricavi entro il 2013.
«Sono dati che fotografano la realtà: la rivoluzione digitale non ha finito per uccidere le nostre città come sosteneva Gilder, le ha solo in parte alterate. Oggi, è sufficiente piazzare dei sensori nell’ambiente e collegarli alle reti, ottenendo moltissime informazioni su quello che ci succede intorno. Il nostro ambiente parla con noi», sottolinea Biderman, che ha alle spalle studi di fisica e di interazioni tra uomo e computer. Lui parla della nuova era in questi termini: «Pare quasi che lo strato digitale non abbia distrutto la densità urbana, ma si stia in realtà ricombinando con essa, in modo diverso. Ed è questo che noi stiamo studiando: come si ricombina? Come può diventare davvero infrastruttura? Come funziona?». Sono domande a cui il team di Scl ha cercato di dare un risposta, suscitando un entusiasmo sempre maggiore nelle aziende e negli enti locali: il laboratorio ha ottenuto quest’anno un finanziamento di tre milioni di dollari, e non un dollaro è venuto dal Mit. I progetti sono sostenuti da numerose grandi compagnie, tra cui General Electrics, Audi, Ducati e da molte città.
Uno dei più recenti, lanciato lo scorso anno, si chiama Live Singapore!; una piattaforma aperta che aggrega informazioni da diverse fonti urbane. Live Singapore! non solo ti dice dove è il negozio più vicino, ma ti dice anche dove è il negozio che ha ciò che stai cercando. Non solo: più che indicarti i bar alla moda, ti manda nel locale più affollato proprio quel giorno. Tra pochi mesi il sistema sarà operativo, però per funzionare dovrà ovviamente poter contare, in egual misura, sulla città e sui suoi abitanti: per far sì che le informazioni siano aggiornate e significative lo scambio deve essere bilaterale e costante. «Facebook ci ha impartito una grande lezione, in questo senso», osserva Biderman.
Una simbiosi analoga è alla base di Aida, un sistema di navigazione che il laboratorio di Boston sta studiando con dei finanziamenti Audi. Aida è ancora in fase embrionale: l’idea è quella di utilizzare le abitudini del guidatore per aiutare il sistema a scegliere le informazioni da fornire, connettendosi a comunità di altri guidatori: «E’ come se un social network incontrasse un navigatore satellitare».
Ma è lunga la lista di progetti targati Scl: da quello sponsorizzato da GE per portare acqua pulita ai rubinetti di Rio de Janeiro in tempo per le Olimpiadi del 2016, al Trash Track sperimentato ormai da qualche anno a New York e Seattle che si basa sullo sviluppo di particolari tag elettronici in grado di monitorare il viaggio di diversi tipi di rifiuti attraverso i sistemi di smaltimento delle due città. L’obiettivo è di raggiungere il tasso di riciclaggio di quasi 100% entro il 2030. E ancora: il progetto SeaSwarm (lo sciame marino), studiato dal Mit per arginare la fuoriuscita del petrolio BP nel Golfo del Messico, attraverso l’utilizzo di robot galleggianti capaci di assorbire quantità enormi di petrolio grazie a un tapis roulant fatto con un nano tessuto, che scivolerebbe lungo la superficie dell’acqua raccogliendo il petrolio.
Anche se probabilmente il progetto più conosciuto del team di Boston viaggia su due ruote: è una bicicletta, con un misterioso disco rosso appeso ai raggi della ruota posteriore. Quel disco è un concentrato hitech: dentro ci sono un computer, un gps, un bluetooth e un paio di batterie che accumulano l’energia cinetica prodotta dalle frenate. Quando si ha bisogno di una spinta, magari per affrontare una salita, il motore rilascia parte di quell’energia. La Ruota di Copenhagen, l’hanno chiamata così, è il prodotto di tre anni di lavoro. Oggi si stanno testando 12 prototipi, con il sostegno e la consulenza di Ducati. E il mozzo adattabile alla ruota della stragrande maggioranza delle biciclette dovrebbe arrivare sul mercato già la prossima estate ad un prezzo inferiore ai 500 euro.