Danilo Taino, Corriere della Sera 13/6/2011, 13 giugno 2011
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO—
Ci sono vite e morti che raccontano le sofferenze e l’anima di un Paese. Quella di Hannelore Kohl, la moglie dell’ex Cancelliere tedesco Helmut Kohl, morta suicida nel 2001, parla delle angosce della Germania postbellica, della strada impervia che ha portato dal nazismo alla democrazia compiuta dei tedeschi. Una nuova biografia rivela un fatto che non era conosciuto al pubblico, un dramma che ha accompagnato la Kanzlergattin (la moglie del grande cancelliere) per l’intera vita ed è in fondo la metafora della fatica di un popolo a liberarsi del passato. Nel maggio 1945, Hannelore, 12 anni, fu violentata dai soldati dell’Armata Rossa che stavano conquistando la Germania. Non si liberò mai dell’incubo. La rivelazione è contenuta in una biografia in uscita in occasione del decimo anniversario della sua morte: «La donna al suo fianco — vita e pene di Hannelore Kohl» , scritto dall’autore cinematografico e televisivo Heribert Schwan che la frequentò a lungo per ragioni professionali. Libro del quale ha parlato e pubblicato citazioni il settimanale Der Spiegel durante il fine settimana. Ed è una rivelazione che trasforma una vita nel romanzo di un’epoca. Mentre i soldati russi avanzavano, crollato, Hannelore e la madre cercavano di fuggire da Lipsia, dove vivevano, verso Occidente. Nella cittadina di Döbeln, in Sassonia, furono però raggiunte dall’esercito di Stalin. La giovane ragazza fu violentata dai soldati russi, ferita alla schiena durante lo stupro e poi gettata fuori dalla finestra «come un sacco di cemento» , scrive Schwan. Non si riprese mai da quella violenza, per tutta la vita l’odore di alcol, di aglio, del sudore maschile e la lingua russa le crearono tremori di paura. Due anni dopo conobbe Helmut, nel 1960 lo sposò, ebbero due figli, Walter e Peter, e restò per 41 anni al fianco del politico cristiano-democratico, poi Cancelliere della riunificazione. L’aggressione subita a 12 anni, però, non uscì mai dalla sua memoria e dal suo corpo. La malattia che la colpì negli ultimi anni della sua vita, una potente e poco spiegata allergia alla luce, potrebbe, secondo alcuni medici, avere avuto origine nel trauma patito a 12 anni. Come la stessa decisione di suicidarsi. Quello che però rende straordinaria la rivelazione è il fatto che si incastri in una vita tedesca fino al midollo. Hannelore, nata Johanna Klara Eleonore Renner, era figlia di un ingegnere, Wilhelm Renner, nazista convinto, vicino a personaggi antisemiti del regime, che era al comando di una delle aziende di armamenti più importanti della Germania, la Hasag di Lipsia, diventata famosa per tre ragioni: una grande espansione nel sostenere lo sforzo militare di Hitler; l’invenzione del Panzerfaust, il semplice ma efficace bazooka tedesco; l’utilizzo di manodopera forzata, detenuta in campi di lavoro vicino alle fabbriche (fu la terza maggiore sfruttatrice di forzati e di Arbeitsjuden del Terzo Reich). Insomma, Hannelore fu la figlia di un uomo interamente dedicato al successo bellico nazista, fu violentata dai russi mentre il regime hitleriano stava crollando, diventò la moglie di una delle figure più rilevanti e pesanti della Germania del dopoguerra, del cancelliere che nel 1990 riuscì a imporre al mondo la riunificazione tedesca. Nel cuore della storia e nel cuore del dramma. Anche la vita al fianco di Helmut non fu infatti una passeggiata. Meno violenta, ma sempre sacrificata ai tempi e agli impegni del marito che trascurava la famiglia; fedele e innamorata; madre bionda e cotonata modello Germania del boom che cucina il piatto preferito del cancelliere, il Saumagen, pancia di scrofa alla moda del Palatinato; e con lui scrive un libro di ricette tedesche. Moglie trascurata, così come trascurati furono i figli: quattro mesi fa, Walter Kohl, il primogenito, ha pubblicato un libro nel quale parla della sua solitudine e della pessima relazione con il padre tutto preso dalla carriera politica, dalla necessità di salvare la patria e l’Europa, dalle amicizie di partito. E anche i desideri, le paure, le angosce di Hannelore venivano sempre dopo. Helmut prometteva alla moglie di non ripresentarsi alle elezioni del 1998, dopo 16 anni da cancelliere. Ma poi— racconta Schwan— lei sentiva in televisione che in realtà si era ricandidato (sbagliando, perse contro Gerhard Schröder). Ma lei, donna di una generazione cresciuta con il mito del sacrificio, e con un padre autoritario, accettava e sorrideva, almeno in apparenza. Anni nell’ombra. Per scelta, via dai riflettori. Quando il marito era un politico locale nella Renania-Palatinato. Quando fu canzonato dalla stampa tedesca come politico provinciale a confronto di uno statista come Helmut Schmidt. Quando diventò Cancelliere a Bonn e celebrato nel mondo. E quando fu accusato di avere gestito fondi neri per il partito. Sempre al suo fianco fino alla malattia che la costrinse all’ombra totale, a stare nella casa di Ludwigshafen, al buio, con le tende chiuse, privata della possibilità di vedere il sole, unici contatti con il mondo il telefono e le amiche che la andavano a trovare mentre il grande uomo era a Berlino. Schwan racconta la storia di una donna e di una nazione che solo alla fine, quando lei decide di suicidarsi, prendono strade diverse. Nell’ultima lettera al marito, Hannelore lo ringrazia per la vita «ricca di avvenimenti, amore e felicità» che le ha dato, gli dice che lo ama e lo ammira. Lo saluta— lei ha solo 68 anni —, dice di non volere essere per lui un peso e si firma con una linea ondulata, come un «serpentello» , il nomignolo con il quale Helmut la chiamava. Una vita tedesca. Danilo Taino