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 2011  giugno 13 Lunedì calendario

E ora importiamo pure le pannocchie - Vietiamo il nucleare e importiamo energia dalla Francia nuclearizzata

E ora importiamo pure le pannocchie - Vietiamo il nucleare e importiamo energia dalla Francia nuclearizzata. Vie­tiamo gli Ogm e importia­mo soia transgenica a tutto spiano. E sentite un po’ l’ul­tima. Vietiamo i pesticidi che ammazzano la bestia nera del mais ma apriamo le porte a quello coltivato con ogni genere di insettici­da. Proprio così, quella del mais è l’ultima contraddi­zione del nostro Paese. Rive­lata da uno studio Nomi­sma che lancia un allarme: l’Italia, grande produttore di mais, ha perso il primato mondiale. Nella classifica è scesa dal primo al quarto po­sto dopo Spagna, Usa e Fran­cia. Negli ultimi cinque an­ni il calo della produzione è stato del 19% e la domanda è rimasta invariata. La perdi­ta economica oscilla dai 150 ai 200 milioni di euro al­l’anno, cioè circa un miliar­do di euro in totale. Le cau­se di questo tracollo sono di­verse, ma ci ha messo lo zampino pure l’abolizione, per decreto, dell’utilizzo di un pesticida (neonicotinoi­de) che ammazza una be­stiaccia cattiva (diabrotica) ma danneggia irreparabil­mente le api. E così dobbia­mo importare il 21% del mais dall’estero. I paesi più appetibili in fatto di prezzi sono l’Ungheria e la Roma­nia. Che utilizzano anche gli insetticidi neurotossici, killer delle api. Questa è coerenza, verreb­be da chiedersi? No, ovvia­mente. Se lo fossimo, do­vremmo escludere questi paesi dalla nostra lista di im­portatori preferenziali. Ma il mercato è mercato, signo­ri. E così una scelta va fatta. Meglio sarebbe salvare ca­pra e cavoli, cioè il mais e le api. Si può fare? Qualcuno giura di sì. Come l’agrono­mo Amedeo Reyneri, docen­te all’Università di Torino, che ha contribuito assieme ai ricercatori del centro stu­di Nomisma alla ricerca sul mais e le prospettive di cre­scita del settore commissio­nata da alcune aziende di Agrofarma (Federchimica). «Con l’uso dei neonicotinoi­di si recupererebbe tra il 4 e il 6% della produzione na­zionale. E questo è stato pro­vato da un esperimento ef­fettuato su 120 campi». E come la mettiamo con la moria delle api? «Bisogna utilizzare adesivanti miglio­ri al seme e modificare le macchine agricole in modo da non disperdere le polve­ri nell’aria. In Francia mol­to è stato fatto e le api non muoiono più». Allora è tut­to semplice, verrebbe da di­re. Non proprio, perché que­sto decreto viene giudicato una vera «tagliola» che non permette di fare sperimen­tazioni a largo spettro. «Nes­suno vuole ammazzare le api - precisa l’agronomo – ma serve un approccio prag­matico e in Italia non si può fare ricerca su almeno mille ettari per effettuare verifi­che di campo». Insomma, salvare capra e cavoli si potrebbe, anche se non tutti sono d’accordo. Gli esperti di api per esem­pio. «In Francia la cosa fun­ziona perché non hanno al­beri in fiore ma solo coltura intensiva di mais – spiega Vincenzo Girolamo, ordina­rio di entomologia dell’Uni­versità di Padova - la mono­cultura non attira le api». Ma l’esperto non boccia gli insetticidi, anzi. «I neonico­t­inoidi sono stupendi ma de­vono essere usati razional­mente, dove servono. E per il mais in passato se n’è fat­to un uso esagerato. Cioè le api muoiono ma nonostan­te questi insetticidi il mais non produce di più. In ogni caso, sono d’accordo sulla sperimentazione. Va fatta e sono sicuro che in futuro si riuscirà a trovare un siste­ma per abbattere le polve­ri ». Lorenzo Furlan, dirigen­te di Venetoagricoltura, è più categorico. «Questi con­cianti sono giudicati indi­spensabili contro la diabro­tica - spiega - ma in realtà, secondo un monitoraggio, i danni provocati da questo parassita americano sono insignificanti. Insomma, c’è una lotta sproporziona­ta in atto soprattutto perché molti gestiscono i campi co­me delle fabbriche». Per Furlan, dunque, si può fare a meno del pestici­da. La pensano allo stesso modo gli apicoltori che do­po lo stop all’insetticida in­criminato hanno visto rifio­rire gli alveari. «Il risultato è stato al di sopra delle aspet­tative: nel 2008 ci sono stati 185 casi di moria, dopo la so­spensione solo tre – precisa Francesco Panella della Unaapi- . Il 2010 invece è sta­ta un’annata meravigliosa per le nostre amiche api».